Il futuro è green ma l’Europa resta ancorata al carbone

Nonostante l'estrazione e la produzione sia stati ridotti, i consumi restano ancora alti

L’Europa del carbone continua a essere piuttosto florida, nonostante gli sforzi per uscire dalla tradizione che vuole l’Unione europea nata dalla cooperazione in materia. Non è più l’epoca della Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, ma questa fonte di energia continua a essere ancora molto presente nei Paesi e nei loro sistemi produttivi. Nel 2021 l’UE ha prodotto 57 milioni di tonnellate di carbon fossile, dai 277 milioni di tonnellate del 1990. Un’inversione di tendenza che ha permesso di ridurre del 79% l’attività dedicata a estrazione e lavorazione di una delle fonti fossili più eco-insostenibili. Rispetto sempre al 1990, anche il numero di Stati membri che producono carbon fossile è diminuito, da 13 a soli 2 nel 2021. Oggi restano fedeli ai ‘tizzoni’ la Polonia (96% della produzione totale dell’UE) e Repubblica ceca (4%).

Numeri che rappresentano una buona notizia, tenuto conto le nuove politiche in materia di sostenibilità della Commissione europea e degli Stati membri che si sono assunti l’impegno di inquinare meno e ridurre le emissioni responsabili dell’aumento della temperatura del pianeta. Ma la riduzione della produzione di carbon fossile non significa aver rinunciato a consumarlo. Anzi. Eurostat stima che alla fine del 2021 il blocco dei Ventisette abbia avuto consumi interni per 166,2 milioni di tonnellate, un dato in aumento rispetto ai livelli pre-pandemia.

Emerge dunque l’Europa delle due facce. Verde a casa propria, di tutt’altra natura oltre confini. La verità è che l’Unione resta fortemente dipendente dalle importazioni, che sono aumentare. Se nel 1990 il carbon fossile era acquistato da Paesi extra-Ue per il 29,6% del fabbisogno di un club allora a 12 Stati, dalla metà degli anni Novanta la curva della domanda a dodici stelle è iniziata ad aumentare. Alla fine del 2004 l’Unione europea acquistata oltre i due terzi del carbon fossile di cui aveva bisogno all’estero (68,3%). Il motivo si spiega da un tessuto produttivo concepito su questa risorsa. Mentre l’Ue ha deciso di porre un freno alla produzione, i sistemi economici continuavano ad aver bisogno della risorsa. In altri termini, il consumo è diminuito più lentamente della produzione.

La pandemia, con i suoi lockdown e il rallentamenti economici, aveva visto un freno della domanda europea. Alla ripresa economica, gli acquisti esteri sono ripartiti. Alla fine del 2021 sono arrivate 104 milioni di tonnellate, contro le ‘appena’ 87 dell’anno precedente. In questa corsa ad accaparrarsi la risorsa, le principali economie dell’eurozona non fanno eccezione. Aumentano gli acquisti di Italia (7,9 milioni di tonnellate, +0,73 milioni rispetto al 2020), Francia (7,4 milioni di tonnellate, +0,3 milioni) e ancor più della Germania (38,4 milioni di tonnellate, +0,9 milioni). Se poi si dà uno sguardo ai dati mensili, nel 2021 gli acquisti di carbone da fuori il mercato unico sono cresciuti ogni mese, fino a toccare il picco a dicembre, dove l’Ue ha comprato oltre 11 milioni di tonnellate di carbone.

L’Europa sembra dunque davvero lontana dall’abbandonare il carbon fossile. Ha ridotto considerevolmente estrazione e produzione, ma non i consumi. Basti pensare che l’utilizzo finale per fini energetici è rimasto pressoché lo stesso negli ultimi anni. Se nel 2016 l’Europa degli Stati si serviva di 27mila tonnellate di carbone per consumi energetici, alla fine del 2020 l’indice risultava poco più alto delle 22mila tonnellate.

Un circolo non virtuoso che rischia di essere alimentato ancora di più alla luce dell’aggressione russa in Ucraina e le conseguenti tensioni sul mercato energetico. La Polonia ha già fatto sapere di non essere intenzionata a rinunciare alla sua fonte tradizionale, anche se contraria alle politiche del Green Deal, e la Germania ha in mente di tornare proprio al carbone per smarcarsi dal gas russo. In fin dei conti le sanzioni varate dall’Ue colpiscono il carbone ‘made in Russia’, e non certo l’intero mercato globale delle risorsa a cui ora i Paesi dell’Ue ex Ceca tornano a guardare con rinnovato interesse.