Dal riscaldamento a legna deriva il 17% di emissioni di PM10

La soluzione è quella di promuovere la sostituzione degli apparecchi obsoleti con sistemi di riscaldamento a legna e pellet moderni ed efficienti

Con l’emergenza energetica in atto e i prezzi del gas schizzati alle stelle, italiani e non si muovono sempre più verso il riscaldamento con stufe a pellet. Ma, al di là dei costi, quanto impatta questo tipo di sistema sull’ambiente e sulle emissioni? La risposta arriva dal Libro Bianco sul futuro del riscaldamento a legna e pellet, stilato nel 2021 da Aiel, Associazione Italiana Energie Agroforestali.
Il riscaldamento domestico, in Italia come negli altri Paesi europei, rappresenta una fonte significativa di polveri sottili la cui concentrazione risulta particolarmente critica in alcune zone, come il bacino padano. Nel nostro Paese contribuisce per il 54% delle emissioni primarie di PM10 (dati Ispra 2020), risultando la sorgente principale. Tali emissioni, nel periodo invernale, sono principalmente generate dalla combustione domestica di biomassa, legna da ardere e pellet in primis. Considerando il PM10 (primario e secondario) misurato in atmosfera emerge che il riscaldamento domestico, con il 17%, rappresenta la terza fonte di emissioni, dopo il trasporto su strada e l’agricoltura.

Il motivo principale di emissioni così alte è dato da stufe e caminetti datati e caratterizzati da tecnologie di combustione superate, che producono la parte prevalente delle emissioni di PM10. Gli apparecchi a legna e pellet installati in Italia da più di 10 anni rappresentano il 70% del parco installato, circa 6,3 milioni, e contribuiscono all’emissione dell’86% del PM10 derivante dalla combustione domestica della biomassa. I moderni apparecchi a biomasse invece, sono caratterizzati da emissioni di PM10 da 4 a 8 volte inferiori rispetto alle tecnologie più datate. Comunemente una stufa a legna installata da più di 10 anni ha un fattore di emissione pari a 480 mg/Nm3 mentre una moderna stufa o un moderno inserto emettono dai 20 ai 30 mg/Nm3. Ma i veri nemici della qualità dell’aria sono i camini aperti, che hanno un fattore di emissione pari a oltre 860 mg/Nm3.

Secondo il Libro Bianco, la qualità dell’aria è in miglioramento e in Italia le emissioni della combustione del legno sono diminuite del 23% dal 2010 al 2018, passando da 123.000 a 95.000 tonnellate. La riduzione è evidenziata dal decremento pari al 12% del fattore di emissione (FE) medio ponderato di PM10 sulla percentuale di consumo di ciascuna categoria di apparecchi considerati nell’inventario, che è passato da 406 g/GJ del 2010 a 356 g/GJ del 2018. In Lombardia, dove si consuma oltre il 10% della biomassa legnosa impiegata nel settore residenziale, i dati evidenziano che nell’arco di 8 anni le emissioni di particolato attribuite al settore del riscaldamento domestico a biomassa si sono ridotte del 30% circa, a fronte di un numero di apparecchi domestici installati pressoché invariato e pari a circa 600.000 unità. In Veneto, sulla base di quanto emerge dell’indagine statistica condotta nel 2018 dalle Regioni del Bacino Padano nell’ambito del progetto PrepAIR, le emissioni si sono ridotte del 35% dal 2006 al 2018, ossia di circa 5.000 tonnellate di PM10.
In sintesi, la soluzione più ‘green’ è quella di promuovere la sostituzione degli apparecchi obsoleti con sistemi di riscaldamento a legna e pellet moderni ed efficienti, caratterizzati da emissioni di PM10 da 4 a 8 volte inferiori rispetto alle tecnologie più datate. Diverse Regioni si stanno muovendo in questo senso, come per esempio il Veneto, per spingere i cittadini a convertire i propri sistemi di riscaldamento per renderli più sostenibili a livello ambientale. Ma già a livello nazionale è possibile accedere al Conto Termico, incentivo propulsore del turn over tecnologico che sostiene gli investimenti di sostituzione di vecchi generatori con nuovi dotati di tecnologie moderne a basse emissioni.