Ripartito flusso gas russo a Tarvisio, la differenza tra Italia e Germania la fa Eni
Il nostro Paese può contare sulle relazioni del Cane a sei zampe con Paesi produttori di idrocarburi sparsi tra Africa e Medio Oriente. La Germania invece non ha un grande player internazionale nel settore oil and gas
Ieri mattina due comunicati di Gazprom ed Eni hanno fatto tirare un sospiro di sollievo agli italiani: il gas russo, via Tarvisio, è salvo. Gazprom, attraverso una nota su Telegram, ha fatto sapere che con i clienti italiani è stato trovata una soluzione sul formato di interazione nel contesto delle modifiche normative avvenute in Austria a fine settembre. “L’operatore austriaco ha annunciato la sua disponibilità a confermare le nomine di trasporto di OOO Gazprom Export“. E subito dopo Eni ha confermato sul proprio sito che “la ripresa delle forniture è stata resa possibile dalla risoluzione da parte di Eni e delle parti coinvolte dei vincoli che derivano dalla nuova normativa introdotta dalle autorità di regolamentazione austriache“. Normativa che – come aveva specificato l’ad dell’Eni, Claudio Descalzi – imponeva a Gazprom il pagamento, da ottobre, di una garanzia monetaria per il trasporto del gas dall’Austria all’Italia del valore di circa 20 milioni di euro. Soldi che probabilmente avrà messo sul tavolo la società italiana, come aveva fatto intuire nei giorni scorsi lo stesso Descalzi.
Questo episodio è esemplificativo della differenza tra Italia e Germania nel combattere questa guerra del gas. E la differenza si chiama Eni. Il nostro Paese, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e l’incredibile corsa dei prezzi del metano, ha potuto contare sulle relazioni decennali storiche del Cane a sei zampe con grandi Paesi produttori di idrocarburi sparsi tra Africa e Medio Oriente per assicurarsi forniture per i prossimi anni. La Germania invece non ha un grande player internazionale nel settore oil and gas. Non è un caso che, in 4 giorni, Eni sia riuscita a sbrogliare la matassa Tarvisio, superando con un accordo diretto con Gazprom l’impasse sulle forniture, seppur ridotte a poco più di 20 milioni di metri cubi al giorno ma vitali, attraverso l’Austria. I tedeschi invece, che non hanno un interlocutore all’altezza di Gazprom, hanno visto ridurre fino ad azzerare i flussi attraverso il Nord Stream 1. E il Nord Stream 2, costato 12 miliardi pagati all’80% dalla Russia, è rimasto intonso, se non danneggiato visti i recenti sabotaggi nel mar Baltico.
Dopo il 24 febbraio, quando la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina, Eni si è messa a disposizione del governo italiano, confezionando accordi con gli Stati africani che garantiranno l’indipendenza energetica dalla Russia in 18 mesi ma anche trattando alla pari con Gazprom per evitare un ammanco di metano in vista dell’inverno. Tutti questi risultati sono stati raggiunti dopo la svolta impressa al Cane a sei zampe da Descalzi. Nel 2014, dopo la sua nomina alla guida della società, ha iniziato una lunga marcia di emancipazione dalle forniture russe. Fino a quell’anno l’Italia era il Paese più legato a Gazprom, poi siamo stati sostituiti dalla Germania, complice la grosse koalition tedesca che vedeva la democristiana Angela Merkel forte a Berlino e il socialista Gerhard Schröder, uomo forte nella galassia Gazprom.
Quasi dieci anni fa Descalzi, ingegnere di giacimento entrato nel 1981 in Eni per occuparsi di Norvegia, Libia e Congo, ha iniziato a spingere sull’Africa, forte della sua grande esperienza nel campo delle esplorazioni in Libia, Nigeria e Congo. In seguito all’invasione russa della Crimea, Eni si è ritirata dal progetto South Stream che avrebbe portato gas attraverso l’Ungheria senza passare dall’Ucraina. Poi nel 2015, con la scoperta del più grande giacimento mediterraneo a Zohr, l’Egitto in pochi anni ha cominciato a diventare esportatore di gas. Gas che arriverà anche in Italia nei prossimi mesi. Ma soprattutto Eni vuol dire Libia, rimasta nostro fornitore nonostante il Paese sia diviso e vittima di una sorta di guerra civile, e Algeria, cioè il Paese che ci sta riempendo in questi giorni di gas garantendo metà del fabbisogno attuale italico. Nell’ex colonia francese il Cane a sei zampe è presente dal 1981 e nel 2019 fu siglato un accordo di fornitura che durerà almeno fino al 2027. Un patto di ferro implementato negli ultimi mesi favorendo così la sicurezza energetica italiana e lo sviluppo algerino.
Le relazioni dell’Eni non si limitano tuttavia a questi Paesi. Congo, Angola, Nigeria, Emirati Arabi, Qatar… Descalzi, come fosse il ministro dell’Energia italiano, ha incontrato presidenti e capi di Stato, sigillando un’alleanza destinata a durare che ci garantirà gas, benché a prezzi più alti.
Tornando ai tedeschi, questa crisi energetica dopo quella del Covid, segna invece due svolte: fine dell’energia a prezzi bassissimi via Russia, fine del modello basato su export di qualità a costi contenuti grazie agli approvvigionamenti di materie prime e semilavorati dalla Cina. Ora la Germania accelera per dotarsi di rigassificatori (non ne aveva nemmeno uno, noi invece tre) ma le relazioni internazionali non si costruiscono con un viaggio. Due settimane fa il cancelliere Scholz, ha visitato Arabia Saudita, Qatar ed Emirati. E a Dubai ha ottenuto forniture di Gnl per 137.000 metri cubi, in pratica una semplice nave.
(Photo credits: Miguel MEDINA / AFP)