La birra italiana corre, ma sulla strada ci sono due ostacoli: rincari e accise

Alfredo Pratolongo, presidente di AssoBirra, è fiducioso: “Possiamo diventare un modello per l'Europa, l'obiettivo è essere sempre più integrati con l'agricoltura"

La birra c’è. Il settore cresce, anche se non ha ancora recuperato la botta del Covid. Però tira di più in Italia che nel resto d’Europa. Ieri a Milano si sono incontrati tutti gli attori del comparto, una sorta di stati generali della filiera, dal campo al consumatore finale. Le prospettive, nonostante tutto, sono buone, certo è che due scogli minano il percorso di un mondo che vale oltre 8 miliardi di euro: un incremento automatico delle accise e ovviamente i rincari.

Alfredo Pratolongo, presidente di AssoBirra, l’associazione che rappresenta il 90% del mercato, è fiducioso: “Possiamo diventare un modello per l’Europa, da noi il consumo della birra è legato per l’80% ai pasti e ci contraddistinguiamo per una moderazione nei consumi”. In Italia ci sono 800 birrifici, 10 maltiere e il settore punta molto sulle materie prime italiane, che tuttavia non sono sufficienti per soddisfare la produzione. Ecco perché – aggiunge Pratolongo – “sono previsti investimenti per portare dal 40 al 60 per cento la resa di malto d’orzo. L’obiettivo è essere sempre più integrati con l’agricoltura, così da migliorare la sostenibilità del prodotto finale”.

La birra italiana va così bene che sta calando il differenziale tra import ed export, grazie a una diminuzione delle importazioni e a un incremento delle esportazioni. Tirano le birre speciali, “che crescono a doppia cifra, ma pure le lager si vendono”. Anche nel nostro Paese comunque sono saliti i consumi, +5%, tanto che ora siamo penultimi in Europa, con 35 litri di birra pro capite annui. Però, di questi tempi, c’è sempre un però. I rincari delle materie prime e dei materiali necessari per far arrivare il prodotto al consumatore sono esplosi.

Nel 2022 il prezzo dell’orzo è cresciuto del 35%, il mais del 40%, il frumento del 23%, il vetro del 50%, l’alluminio del 10%, la plastica del 28% e la carta del 30%. E poi ci sono le bollette. Il mondo della birra è meno massacrato dagli aumenti, però il settore horeca è in difficoltà per le impennate di luce e gas, per cui a cascata ne risente l’intero settore. Anche Unionbirrari, presente al convegno sulla “filiera birra”, denuncia da giorni il problema anidride carbonica, sottoprodotto delle industrie energivore, che sono state costrette a ridurre o bloccare del tutto i propri processi: non c’è abbastanza CO2 per soddisfare tutta la domanda e si deve anche fare fronte a costi molto elevati. “L’attuale tempesta dei costi non è episodica e ha messo in atto effetti inflattivi e perdite di competitività. Questo potrebbe compromettere la ripresa e fermare gli investimenti lungo tutta la filiera brassicola“, fa presente Pratolongo.

Altra grana, le accise. Il presidente di Assobirra non usa tanti giri di parole: “La birra è l’unica bevanda da pasto gravata da accise. Serve proseguire verso la riduzione della pressione fiscale, così da sostenere la filiera, dando impulso e sviluppo a un comparto da sempre dinamico, ad alto tasso di occupazione giovanile qualificata“. Senza un intervento entro fine anno, verranno meno gli sconti praticati per venire incontro al settore dopo la pandemia. “Il settore birrario italiano è un’eccellenza in Europa, sta crescendo, può e vuole continuare a farlo. Siamo pronti a fare la nostra parte – conclude Pratolongo – ma su alcuni ostacoli occorre un’azione congiunta“.