Green bond, gli Stati rincorrono ma danno la linea

Si tratta di una variante dello strumento di debito a reddito fisso storicamente utilizzato da governi e società per prendere in prestito grandi quantità di capitale

Il costo della transizione dai combustibili fossili all’energia pulita è astronomico. Serviranno più o meno 100 trilioni di dollari di investimenti entro il 2050. Gli Stati e le organizzazioni internazionali faranno da apripista ma come possono essere raccolte così grandi quantità di capitale? Una risposta è attraverso i green bond , una variante dello strumento di debito a reddito fisso storicamente utilizzato da governi e società per prendere in prestito grandi quantità di capitale.
Attualmente, c’è una corsa all’oro di afflussi verso green bond di vario tipo. Il primo green bond è stato emesso nel 2008, un’emissione con rating AAA della Banca europea per gli investimenti e della Banca mondiale. Tra il 2014 e il 2016 il mercato globale ha iniziato a crescere in modo esponenziale; da allora ha raggiunto livelli record ogni anno. Ad oggi, l’emissione cumulativa del mercato globale dei green bond ha raggiunto quasi 2 trilioni; finora nel 2022 il totale è di 313 miliardi di dollari. Una proiezione previsionale basata sui dati sugli afflussi proviene da Moody’s, che ha stimato un mercato di 1 trilione di dollari di emissioni di debito sostenibile globale per quest’anno. Quelle cifre iniziano ad avvicinarsi alla fascia bassa degli importi stimati richiesti per sostenere la transizione, e sono ancora in aumento , nonostante le rigide condizioni economiche previste per i 12 mesi. Inoltre, l’Inflation Reduction Act mira a potenziare il mercato delle obbligazioni verdi negli Stati Uniti. La legge da 369 miliardi di dollari fornisce crediti d’imposta, incentivi e altro sostegno finanziario che sicuramente stimoleranno i finanziamenti.

I titoli governativi, va sottolineato, sono entrati in ritardo ma hanno aumentato la loro quota dal 4% al 7,5% negli ultimi due anni e mezzo. I primi green bond sovrani sono stati emessi da Polonia e Francia all’inizio del 2017. Le emissione sono poi aumentate notevolmente dopo la pandemia. A fine 2019, la quota degli emittenti sovrani sul totale delle obbligazioni verdi in circolazione era solo del 4,2%, ma è cresciuta appunto al 7,5% a fine giugno: 38 Paesi hanno lanciato bond verdi nei 5 continenti, specifica la Banca Internazionale dei Regolamenti, con gli Usa in fondo classifica. Tra i fattori chiave c’è stato il generoso sostegno fiscale in risposta alla pandemia e le crescenti ambizioni climatiche dei governi. In particolare, molti Paesi, specie quelli dell’Unione Europea, si sono impegnati a utilizzare l’aumento della spesa fiscale per accelerare la transizione verde. Non solo diversi Stati membri dell’UE hanno emesso i loro green bond sovrani durante la pandemia (ad es. Svezia, Germania, Italia e Spagna), ma l’UE mirava anche a finanziare parte della sua risposta alla pandemia, ad esempio il 30% dei fondi NextGenerationEU, tramite obbligazioni verdi.
Il primo BTP Green, emesso dal Tesoro Italiano il 3 marzo 2021, ha scadenza 30 aprile 2045. Attraverso i BTP Green, il nostro Paese finanzierà tutte le spese che contribuiranno alla realizzazione degli obiettivi ambientali delineati dalla “Tassonomia europea delle attività sostenibili”, ovvero mitigazione dei cambiamenti climatici; adattamento ai cambiamenti climatici; uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e dell’ambiente marino; transizione ad un‘economia circolare; prevenzione e controllo dell’inquinamento; protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
Il secondo Btp green – del valore di 6 miliardi – è stato invece collocato circa due mesi fa attirando una domanda record pari a 40 miliardi. Scadrà ad aprile 2035 e garantisce un tasso annuo del 4% pagato in due cedole semestrali.

Un’analisi di Bloomberg News su oltre 100 obbligazioni legate alla sostenibilità vendute da società globali a investitori in Europa ha però rilevato che “la maggior parte è legata a obiettivi climatici deboli, irrilevanti o addirittura già raggiunti“. Ecco che allora il ruolo che svolgeranno le obbligazioni sovrane fungerà da guida nella promozione delle migliori pratiche nei green bond. Le emissioni di obbligazioni verdi sovrane si distinguono in termini di dipendenza da revisioni esterne: tutti gli Stati richiedono un sigillo di approvazione da almeno uno, e spesso una varietà di, fornitori di servizi specializzati. Al contrario, ben un quinto delle obbligazioni verdi aziendali è auto-etichettato come verde dall’emittente senza alcuna revisione esterna.
Oltre alla verifica dell’uso dei proventi, la valutazione d’impatto fornisce un altro livello di garanzia che i green bond ottengano benefici ambientali. Ogni schema di obbligazioni verdi sovrane esistenti richiede infatti una relazione sull’impatto ambientale. Con tali rapporti – spiega la Bis – i Paesi cercano di trasmettere che gli obiettivi di sostenibilità sono una priorità di fatto, anche in presenza di vincoli di fungibilità. In effetti, l’evidenza suggerisce che l’emissione inaugurale di obbligazioni verdi sovrane tende a rafforzare gli standard per le emissioni verdi complessive in quel Paese.