“L’analisi delle situazioni di crisi idrica nel Paese dimostra come i tanto citati dissalatori possano essere una soluzione per emergenze localizzate, non certo risolutivi per un fattore esteso quale la siccità penalizzante l’agricoltura e l’ambiente in un territorio come quello italiano. Non solo: va sempre ricordato che l’altrettanto citato Israele, con il quale i nostri Consorzi di bonifica mantengono costanti rapporti di reciproca collaborazione, ha trasformato il deserto in area verde; noi, invece, il giardino lo abbiamo ed il nostro compito è mantenerlo. Non mi pare proprio la stessa cosa…”. Così Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI), sul tema del giorno e, per far comprendere i contorni assunti dalla siccità nell’ “Italia idricamente rovesciata”, cita un dato del Cnr che indica come, in 24 mesi, cioè da febbraio 2021, ben il 38% delle aree agricole irrigue sia stato interessato da siccità severa-estrema.
“E’ pensabile risolvere il problema, dissalando l’acqua del mare? I costi metterebbero fuori mercato il made in Italy agroalimentare – aggiunge Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – Insieme all’efficientamento della rete idraulica ed all’ottimizzazione dell’utilizzo irriguo, non è più logico creare le condizioni per trattenere e trasferire le acque di pioggia, migliorando al contempo l’ambiente attraverso una rete di laghetti multifunzionali ad iniziare dal riutilizzo delle migliaia di cave abbandonate?”