Marocco, senza acqua e luce: a Ighermane si torna a vivere come ai tempi degli antenati

Il villaggio berbero distrutto dal violento terremoto di venerdì scorso. Crollate anche la scuola e la moschea

Photocredit: Afp

Alla periferia di un villaggio in rovina, i residenti attingono l’acqua dal pozzo per trasportarla, a dorso di asini, all’accampamento improvvisato dove vivono da quando, venerdì scorso, il terremoto ha devastato le zone montuose del Marocco. Le condizioni di vita a Ighermane, un ‘douar’ sperduto nell’Alto-Atlante, sono sempre state rudimentali, ma “c’era acqua nelle case. Ora siamo tornati ai tempi dei nostri antenati”, sospira Mohamed Oublay, 28 anni, dopo aver riempito un contenitore di plastica che gli permetterà di lavare le stoviglie e preparare la cena, all’aperto.

Il villaggio berbero ha perso tre bambini nella forte scossa di venerdì sera, così come tutte le sue tradizionali case di mattoni, che sono state completamente distrutte o gravemente danneggiate. Anche la sua nuovissima moschea, inaugurata appena cinque mesi fa, non è stata risparmiata. Camminando sui cumuli di macerie, infestati dall’odore di putrefazione del bestiame ancora sepolto sotto i calcinacci, Oublay mostra l’entità della catastrofe per le 90 famiglie del villaggio, costrette a rifugiarsi per strada, senza acqua corrente, senza servizi igienici, senza elettricità.

Passerò la mia prima notte in tenda”, quasi esulta Saida Ouchi, dopo aver dormito cinque notti tra gli ulivi, nelle coperte portate dalla figlia che vive a Marrakech, a un centinaio di chilometri di distanza. “Mi è stato detto che forse potremmo installare lì una piccola lampada, collegandola all’unica casa che ha ancora la corrente elettrica“, aggiunge. Con i materassi e i cuscini distribuiti da mercoledì dalle associazioni di beneficenza, la donna sta allestendo il suo nuovo spazio abitativo, che condivide con il marito, due delle sue figlie e i suoi tre nipoti. La cucina è ridotta a pochi utensili e un fuoco di legna condiviso con le altre donne berbere. Le derrate alimentari trasportate dalle associazioni locali vengono depositate un po’ più lontano, sotto un telone, in pieno sole.
Anche se per il momento questo conforto rudimentale è sufficiente alla sua felicità, Saida non nasconde la sua ansia. “Abbiamo paura per i bambini, ci chiediamo sempre dove sono e se gli succederà qualcosa”, si preoccupa, sottolineando che trascorrono la giornata passeggiando all’aperto, anche perché il sisma ha distrutto la scuola del villaggio.

Il Ministero dell’Interno marocchino “ci ha fornito 72 tende, anche se siamo 90 famiglie. Non possiamo permetterci di mettervi provviste. La priorità è ospitare le donne e i bambini“, spiega Mohamed Oublay. Il suo amico, Moustapha Chamoun, prega affinché le autorità diano loro aiuto per ricostruire le case, il più rapidamente possibile, prima dell’arrivo dell’inverno in questa regione dove a volte può nevicare.