Litigando su gas e petrolio, alla Cop28 hanno stabilito (quasi) tutti che il nucleare dovrebbe/potrebbe essere la soluzione all’approvvigionamento energetico pulito per il prossimi anni. Più dei combustibili fossili che inquinano, più delle rinnovabili che sono fonti intermittenti (cioè dipendono dalle condizioni di sole, vento, acqua ), più dell’idrogeno verde che costa parecchio e che richiede ingenti quantità di acqua. Nucleare che in Italia è bloccato da quasi 40 anni da due referendum ma che, paradossalmente, viene prodotto per Paesi terzi da aziende tricolori come Enel, Eni, Ansaldo Energia. Lo ha ricordato il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, in una recente intervista in cui ha dato il suo personale via libera alla (ri)esplorazione di un territorio che sembrava off limits.
Bisogna partire da un presupposto: si tratta di una tecnologia non ‘cotta e mangiata’. Infatti, per costruire una centrale nucleare ci vuole una decina di anni, dunque l’orizzonte temporale è quello del 2030 per i reattori modulari di terza generazione avanzata e il 2040 per quelli di quarta. A patto che non si perda tempo. E a patto che l’Italia anti-nucleare accetti il cambiamento di rotta. Non semplice, oggettivamente, ancorché negli ultimi anni la tecnologia abbia compiuto enormi passi avanti e i rischi di una volta (Chernobyl, Fukushima) siano stati circoscritti.
In questo contesto si innesta la situazione curiosa in cui versa il Piemonte, là dove c’è un governatore che si dice favorevole alle opportunità offerte dal nucleare ma che osteggia l’iniziativa di un sindaco così spregiudicato da voler stoccare tutte le scorie radioattive nel suo comune.
Riavvolgiamo il nastro. Alberto Cirio, che è in campagna elettorale perché si ricandida alla guida della sua Regione, non più tardi in un anno fa, intervenendo davanti agli imprenditori cuneesi, raccontava questo: “C’era un tempo in cui, se fossi venuto qui a parlare di energia nucleare, avrei avuto fuori dalla porta decine di manifestanti che mi dicevano che volevamo distruggere il Paese. È arrivata una guerra e ci ha risvegliati da quel torpore, in cui non ci si poneva il problema dell’autonomia energetica. Oggi, finalmente, anche su forme di energie alternative come il nucleare, dopo l’apertura della Commissione europea, si sta ragionando. Perché i temi vanno affrontati con il pragmatismo, non con l’ideologia. Quindi sì al nucleare, senza alcun dubbio”.
Una posizione realistica, motivata dal fatto che ad alcune centinaia di chilometri di distanza, cioè poco dopo il confine, la Francia usa il nucleare e ne percepisce i benefici ma, proprio per la vicinanza con i cugini transalpini, gli eventuali rischi sono pure nostri. E, anche qui, galleggiano molte particelle di buonsenso. Ma qualcosa si inceppa di fronte al sindaco di Trino, Daniele Pane, che chiede di poter ospitare il Deposito nazionale unico delle scorie radioattive. Trino, sì, dove peraltro c’è già un deposito di scorie; Trino che però non rientra nelle 67 aree classificate potenzialmente idonee; Trino che fa discutere più di una metropoli. “Il Piemonte ha già dato sulle scorie radioattive”, ha tuonato Cirio medesimo, stroncando qualsiasi illusione.
Quindi, liofilizzando i concetti, Cirio sostiene che il nucleare sia la via d’uscita dagli imbarazzi energetici ma le scorie radioattive a bassa e media intensità debbano prenderle a carico qualcun altro, non il Piemonte. E qui il buonsenso viene un po’ violentato. Come dire: mi piace da morire la zuppa di pesce ma le pentole maleodoranti le puliscano altri.
Intanto Pane prosegue nella sua campagna nucleare. La tesi del sindaco più popolare d’Italia in questi giorni prenatalizi è che costruendo un nuovo deposito verrebbe messo in sicurezza l’intero territorio del vercellese. Territorio che, al momento, ospita l’80 per cento del rifiuti radioattivi del Paese. Dietro ci sono gli americani di Westinghouse, davanti la prospettiva (del sindaco) di riqualificare un comune che ha bisogno di ridarsi un contegno. E Cirio dove sta?