Il 2024 si è aperto con il primo calo dei prezzi dei cereali: i rischi climatici uniti al moltiplicarsi dei conflitti, dall’Ucraina al Mar Rosso, più che mai promettono un anno di incertezza sui mercati del mondo agricolo. Il mercato è tornato al livello dei prezzi dell’inizio del 2021, con una tonnellata di grano intorno ai 220 euro su Euronext, ben prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. “Siamo partiti da livelli elevati”, sulla scia di un primo aumento dei prezzi legato alla crisi sanitaria Covid e poi delle “montagne russe” della primavera 2022, ricorda Gautier Le Molgat, amministratore delegato di Argus Media France. Nel 2023, però, il crollo è stato forte: “in un anno, il grano è caduto del 28% su Euronext e del 21% sulla Borsa di Chicago”. Il mais, dal canto suo, ha perso più del 30% su questi mercati, mentre colza e soia, semi oleosi trasformati essenzialmente in agrocarburanti, sono diminuiti del 25%. Questo calo dei prezzi ha consentito ai paesi importatori di tornare agli acquisti, senza che la sicurezza alimentare degli stati fragili migliorasse, in particolare nel Corno d’Africa, afflitto da una persistente siccità.
Nel settore del grano, il commercio è e dovrebbe rimanere dominato dalla Russia, anche se il raccolto del 2024 sembra meno favoloso di quello precedente. Ma se le riserve di cereali rimangono sufficienti a livello globale, le disparità regionali sono forti e tutto potrebbe andare storto molto rapidamente, stimano diversi analisti e broker.
In primo piano tra i rischi ci sono le condizioni meteorologiche estreme, che gravano sia sui raccolti sia sui trasporti, secondo una nota analitica della banca UBS, che sottolinea come “a seconda di dove si vive, il fenomeno meteorologico El Niño (potrebbe) essere fonte di sollievo o miseria”. L’aumento del rischio di siccità peserà quindi sul Sud-Est asiatico, su India e Australia in particolare, dove, secondo le previsioni ufficiali, il raccolto di grano diminuirà del 37% nel 2023-24; d’altro canto, dopo due anni molto difficili, l’Argentina dovrebbe vedere la sua produzione di mais balzare del 60%, arrivando a 55 milioni di tonnellate. L’attenzione per mais e soia si concentra sull’emisfero meridionale, in particolare sul Brasile, dove le conseguenze della mancanza di piogge nel Mato Grosso, la principale regione produttrice di soia, sono ancora poco conosciute, osserva Dax Wedemeyer di US Commodities. Ritardi nel raccolto di soia e quindi nella semina successiva alla ‘safrinha’, il secondo e più grande raccolto di grano giallo del Brasile, divenuto recentemente primo esportatore mondiale, potrebbero pesare sul mercato.
Questi rischi climatici hanno un costo sempre più elevato, come evidenziato in una nota prospettica di Everstream Analytics: mentre “negli anni ’80 gli Stati Uniti si trovavano a fronteggiare un evento meteorologico che costava 1 miliardo di dollari ogni quattro mesi”, ora è “ogni tre settimane”. Un’altra conseguenza diretta del clima è la restrizione della circolazione nel Canale di Panama, attraverso il quale passa il 6% del commercio marittimo internazionale, a causa del pescaggio troppo basso.
A questi dati climatici si aggiungono, per i trasporti, i rischi geopolitici: il moltiplicarsi degli attacchi compiuti dai ribelli yemeniti nel Mar Rosso, in un’area che accoglie il 12% del commercio marittimo mondiale, ha portato a un repentino aumento dei costi dei noli. Mercoledì, la francese Cma Cgm ha annunciato che dal 5 gennaio le sue tariffe di trasporto saranno quasi raddoppiate per il commercio tra l’Asia e il Mediterraneo. Questo aumento dei costi di trasporto “sarà trasferito al consumatore, il che significa una domanda inferiore. Ciò aumenta le possibilità di una recessione globale”, ha affermato Michael Zuzolo, di Global Commodity Analytics and Consulting. Per la banca UBS, “disordini geopolitici” e “protezionismo commerciale”, così come le restrizioni all’export di riso indiano, sono, dopo il clima, i due maggiori rischi da monitorare per il 2024. Alcuni analisti, come Dewey Strickler, di Ag Watch market Advisors, si interrogano ora sulla “possibilità che Pechino, prima delle elezioni (americane di novembre), si attivi per reintegrare Taiwan nella Cina”.