Grandi potenzialità derivanti dall’intelligenza artificiale, con la creazione di nuove figure professionali. Soprattutto in campo medico. Un metodo per trattare l’informazione che va comunque regolamentato, come assicura Filippo Molinari professore di Bioingegneria al Politecnico di Torino. Intervistato da GEA a margine dell’evento ‘Salute, parco e sviluppo’, organizzato dall’Unione industriali di Torino, il docente spiega come l’intelligenza artificiale possa essere volano di sviluppo in campi come la cura e la ricerca medica.
E’ il tema dell’anno, ci sarà un focus dedicato anche al G7.
“Possiamo dire che l’intelligenza artificiale è un metodo per trattare l’informazione. e siamo nell’epoca in cui i dati sono molto importanti. Non è un caso che ad esempio in sanità ci sia una forte limitazione all’utilizzo dei dati privati perché sono fonte di informazione e per qualcuno anche di ricchezza. Quindi l’intelligenza artificiale deve essere vista come uno strumento che ci facilita l’accesso all’informazione e l’estrazione dell’informazione anche in sistemi molto complessi. Da questo punto di vista, quindi, è chiaro che la potenzialità di costruire strumenti che in qualche modo ci mettano in grado di analizzare i dati che abbiamo o gestire meglio le informazioni o addirittura essere predittivi su alcune cose che adesso facciamo fatica a fare, non utilizzando più i metodi classici tipo la statistica o la matematica che sono magari più vincolati. Questo ovviamente dà un grosso impulso allo sviluppo e alla possibilità anche di nuovi prodotti e di nuove declinazioni”.
Ci sono dei limiti? In questo senso l’Unione europea è stata la prima ad approvare un regolamento...
“Sicuramente va regolamentata perché bisogna tenere in conto che l’intelligenza artificiale la chiamano intelligente ma non sa quello che fa, è come qualunque altro algoritmo: fa quello che gli dici tu. È la ragione per cui può non essere rispettosa, ad esempio della privacy: si hanno dati che poi magari vanno a finire nei grossi motori e diventano per qualche motivo pubblici. Oppure non è rispettosa per esempio di altre variabili quali possono essere il genere, l’etnia”.
Tra i detrattori c’è chi pone il tema della sostenibilità, anche economica.
“Certo perché l’intelligenza artificiale costa in termini di calcoli e di addestramento e questo si traduce in un costo computazionale. Molto bene se tu produci microchip, molto male se tu devi pagare la bolletta della luce. Quindi ovviamente non è gratuita tutta questa potenza di calcolo. Ultimo aspetto riguarda poi l’integrazione dell’intelligenza artificiale richiede come tutti gli strumenti, qualcuno che la sappia usare correttamente, a partire dalla formazione”.
L’allarme è che possa aumentare il numero di disoccupati…
“Io credo che non sia vero, perché c’è tutto il tema di nuove professioni o di un cambio di alcune professioni già esistenti. Penso che tecnicamente l’intelligenza artificiale aumenti il numero degli occupati, che non saranno magari quelli di prima ma che andranno a riconfigurarsi in un campo specifico”.
Lei diceva che grandi potenzialità possono essere sfruttate in campo medico…
“Intanto, ribadisco che l’atto medico è insostituibile. Però lo puoi svolgere in meno tempo con più efficacia, magari anche con uno strumento che ti aiuta dal punto di vista legale, supportando la decisione che hai preso. Secondo me l’intelligenza artificiale può andare a vantaggio degli operatori per gli studi e per la ricerca di base, perché è molto forte ad esempio sui modelli predittivi. E sarà sicuramente fortissima sull’istruzione, sulla formazione dei clinici perché con l’intelligenza artificiale è molto facile simulare scenari anche utilizzando ambienti virtuali. Quindi anche formare un chirurgo o un radiologo è molto più facile utilizzando strumenti di questo tipo”.