Dice Emma Marcegaglia, ex presidente di Confindustria, che “nessuno deve essere lasciato indietro. Il G7 deve agire in modo inclusivo nei confronti dei Paesi meno sviluppati”. Dice Fatih Birol, presidente dell’Agenzia Internazionale dell’Energia – dal quale giungono complimenti all’Italia per aver invitato i Paesi africani – che intende spedire due messaggi forti e chiari, sempre in chiave G7: “Primo, il rischio tradizionale della sicurezza energetica persiste a causa dell’invasione russa dell’Ucraina con le sue conseguenze e dell’attuale alta tensione in Medio Oriente che seguiamo molto da vicino. Secondo, l’energia pulita si sta muovendo rapidamente e più velocemente di quanto molti pensino”. Dice il ministro Gilberto Pichetto Fratin, titolare dell’Ambiente e della Sicurezza energetica del governo guidato da Giorgia Meloni, che ha dato mandato al giurista Giovanni Guzzetta di costituire un gruppo di alto livello per ridisegnare l’ambito legislativo, normativo e di governance del sistema regolatorio italiano, per accogliere un eventuale programma di ripresa della produzione nucleare in Italia. Perché, liofilizzando il pensiero di Pichetto, l’età del carbone è finita, le rinnovabili da sole non possono offrire totali garanzie energetiche essendo fonti intermittenti, il geotermico è una via d’uscita come l’idroelettrico ma non definitive, quindi bisogna affidarsi ai mini reattori di quarta generazione.
Altri ancora dicono (giustamente) e altri ancora diranno sul G7 Clima, Energia e Ambiente che si apre domani a Venaria Reale, Torino. Perché questo mega-meeting tra i grandi della Terra allargato ad alcuni paesi africani, alla presidenza della Cop28 che è stata (Dubai) e dalla Cop29 che sarà (Baku), ai commissari Ue in procinto di congedarsi Kadri Simson (Energia) e Hoekstra (Clima), ha una valenza enorme. Che impatterà sulle strategie geopolitiche dei Paesi più potenti del Pianeta, sulle economie degli stessi e, per estensione del concetto, sulla vita dei cittadini comuni. Due giorni di incontri e magari di scontri che non devono essere sprecati perché ci sono urgenze da affrontare. E non di poco conto. La speranza è che, sotto la presidenza italiana, questo G7 non si riveli come le ultime Cop, là dove troppo spesso ci si è trovati di fronte a consunti flussi di coscienza, a catastrofismi e irrealtà, oltre a ciechi arroccamenti per difendere gli interessi di bottega.
Mettiamo in ordine i pensieri, che poi sono dei doveri. Il clima sta cambiando, persino il più accanito tra i negazionisti ne sta prendendo atto, e qualcosa va fatto abbastanza in fretta; petrolio e gas, peggio ancora il carbone, sono fonti fossili che dovranno essere sostituite a breve da un mix di energie pulite, in maniera che il mondo non diventi una camera a gas; la virtuosità green dell’Europa deve essere accompagnata da un atteggiamento analogo da parte dei ‘grandi inquinatori’ come Cina, India e Stati Uniti, questi ultimi unici dei tre presenti al G7; l’Africa – e non solo per il Piano Mattei – d’ora in avanti non può più essere ignorata o considerata un angolo di mondo da sfruttare e basta. Per legare queste evidenze serve un filo resistente, annodato alla buona volontà collettiva e, soprattutto, al buonsenso.
Dal G7 ‘italiano’ è lecito aspettarsi risposte e iniziative chiare, anche perché la situazione geopolitica lo richiede: con due guerre in atto, l’incognita degli houthi e i maldipancia dell’Iran. Energia e ambiente uniti a braccetto, da qui non si scappa. Dice ancora il ministro Pichetto Fratin: “Spero che ci sia il buon senso di capire che gli obiettivi del G7 sono quelli non solo di pace, ma anche di raggiungere traguardi importanti per le nuove generazioni, non contro”. Non rimane che aspettare, osservare e capire se la due giorni torinese sarà una svolta o un fiasco stile Cop.