Le due sfide delle Europee: astensionismo e nuovo Green Deal

Il tema ambientale è stato appena sfiorato dalle forze in campo, ma se n'è parlato nei nostri #GeaTalk

Un italiano su due. La previsione di voto di sabato e domenica per le elezioni europee è questa. Ed è una previsione nefasta perché, se davvero sarà aderente alla realtà, significa abbassare ulteriormente la percentuale di votanti del 2019, tristemente attestata al 54,50%. Eppure mai come questa volta è importante recarsi alle urne ed esprimere una preferenza, di qualsiasi colore: in fondo, non c’è bisogno di essere un politologo per capire che, se non decidiamo (anche) noi, qualcuno deciderà per noi. Che non è cosa né buona né giusta.

Dunque, la prima sfida è quella dell’affluenza alle urne. E dipende da noi. La seconda è quella di un’Europa più forte e più coesa, più performante e più di buonsenso. E questo dipende da chi siederà sugli scranni di Strasburgo e occuperà le stanze di Bruxelles. Dei 705 eurodeputati, 76 sono italiani, insomma, il 10%, qualcosa si può dire e si può fare. La terza, che è figlia legittima delle altre due, riguarda il green deal, o come si chiamerà il nuovo pacchetto di misure per affrontare il tema ineludibile della decarbonizzazione, per mettere un freno ai cambiamenti climatici, per non essere vasi di coccio nella morsa tra Stati Uniti e Cina. Tema, quello dell’ambiente e di cosa ne consegue, che però è stato appena sfiorato dalle forze in campo. Per lo meno in Italia. Hanno tenuto banco la sanità e la pace, la Difesa comune e le armi all’Ucraina, il toto presidente della Commissione: Draghi sì o Draghi no? Giorgetti o Fico? C’è chi ha paventato il rischio di trasformare una delicatissima elezione europea in una conta a uso interno: nel caso fosse, si tratterebbe un rischio pericolosissimo. E’ come litigare all’assemblea di condominio per le spese del giardino mentre brucia il palazzo.

Di Green Deal, comunque, si è parlato molto nei nostri #GeaTalk. Perché, alla resa dei conti, le misure che dovranno essere prese o le correzioni che dovranno essere apportate a quelle già esistenti, andranno a impattare pesantemente sulla vita dei cittadini. Dalle auto elettriche alle case green, dagli imballaggi alle pompe di calore, dalla nuova Pac ai fitofarmaci, dai pannelli alle pale: qualcuno ha dimenticato, forse scientemente rimosso, eppure dal 10 giugno saranno tematiche che ci accompagneranno nella discussione collegiale con gli altri 26 Paesi d’Europa e che si infileranno nelle nostre tasche e nei conti correnti delle aziende, piccole o grandi che siano. Ore di talk per certificare che il green (good?) deal va rivisto alla luce di cosa è accaduto – e non è poco – dal Covid in avanti. Questione di modi e di toni, spesso però di purissima sostanza. E’ emerso un rifiuto netto per l’ideologia ‘tout court’, è affiorata la necessità di normare la transizione verde con regole e tempistiche flessibili oltre che con meno burocrazia, qualcuno ha portato avanti l’idea di una eco-patrimoniale per finanziare l’azione verde. Il nodo centrale, d’altronde, è la reperibilità dei fondi senza squassare l’economia.

Che soffi forte il vento e che scaldi molto il sole: questo se lo augurano tutti. Ma per alcuni la via d’uscita è il nucleare, per altri di gas dovremo vivere almeno per i prossimi dieci anni. I combustibili fossili non sono una parolaccia ma un termine che, a medio termine, dovrà diventare desueto. Del resto, la transizione ecologica non può essere scollata da quella energetica, che determina le strategie del mondo industriale e che fa battere il cuore ai grandi Gruppi, italiani e non. Ai #GeaTalk nessuno si è nascosto, qualcuno si è esposto, come sempre la campagna elettorale è stata teatro di slogan e promesse, di ripicche e rilanci. Niente di nuovo, ci sta. Ma la prima sfida da vincere era e resta l’affluenza alla urne. L’indifferenza è esiziale, menefreghismo fa rima con autolesionismo. Si può e si deve votare senza rinunciare alla tintarella di questa primavera tarocca. Già, i cambiamenti climatici…