Urne aperte per rinnovare il Parlamento più grande al mondo: quello europeo. Quattro giorni di votazioni, circa 360 milioni gli aventi diritto (47,3 milioni di italiani), 27 Stati coinvolti, 720 seggi (di cui 76 per gli italiani). Questo è il contenitore complessivo delle elezioni europee del 2024, anche se una delle domande ricorrenti di queste ore riguarda il possibile astensionismo. Cinque anni fa, i partecipanti al voto aumentarono dell’8,3% rispetto alla volta precedente e l’affluenza arrivò a sfiorare il 51%, trainata dai giovani.
In base ai dati di Eurobarometro raccolti dopo il voto del 2019, infatti, i cittadini sotto i 25 anni alle urne erano aumentati del 14% rispetto al 2014 e quelli di età tra i 25 e i 39 anni del 12%. Ad essere motore di quella scelta fu, in base all’indagine, l’economia e la crescita (per il 44%) e i cambiamenti climatici (37%), ma anche i diritti umani e la democrazia (37%), il modo in cui l’Ue dovrebbe funzionare in futuro (36%) e l’immigrazione (34%). Anche la Brexit fu una ragione per andare alle urne, per il 22%. “L’aumento molto significativo della partecipazione alle elezioni europee di maggio dimostra che i cittadini, soprattutto le giovani generazioni, apprezzano i loro diritti democratici e credono che l’Unione europea sia più forte quando agisce all’unisono per rispondere alle loro preoccupazioni“, commentò l’allora neoeletto presidente, David Sassoli. E la legislatura Ue salpò, cercando di utilizzare per le proprie vele anche il vento verde, soprattutto delle generazioni più giovani, che arrivava dalle piazze. Tant’è che nelle primissime settimane sembrava addirittura possibile una maggioranza arcobaleno, che includesse, oltre a popolari (Ppe), socialisti (S&d) e Liberali (Renew Europe), anche i Verdi.
Non andò così, ma la prima Commissione guidata da una donna, che ha chiesto, e ottenuto, la parità di genere per il suo collegio dei commissari, iniziò a lavorare avendo al centro il Green deal, la transizione digitale, un ruolo più geopolitico per l’Ue, lo stato di diritto, le migrazioni. Poi sono arrivate la pandemia di Covid-19, la guerra di aggressione all’Ucraina e, collegate, le diverse crisi: sanitaria, economica, energetica e di sicurezza. Molte risposte date dall’Ue sono state nuove: per la prima volta nella sua storia l’Ue ha concepito la possibilità di emettere debito comune per far fronte alle conseguenze della crisi sanitaria con il Next Generation Eu; ha comprato vaccini in comune; ha dato il via agli acquisti congiunti di gas (non russo) e perfino di armi, solo per citare qualche esempio.
C’è stato, dunque, uno scatto in comune, un pensare in modo europeo e non più solo nazionale. Ma, allo stesso tempo, la pretesa iniziale non è riuscita ad arrivare fino alla fine. L’annacquamento del Green deal per incontrare il favore degli agricoltori, tanto che una alleggerita legge sul ripristino della natura è ancora in stallo; il Patto su migrazione e asilo, giudicato da molte accreditate associazioni dei diritti umani un passo indietro nei diritti universali e nelle garanzie delle persone migranti; l’ammiccamento alle destre, di contro al ‘cordone sanitario’ che si era proclamato a inizio legislatura, rischiano, a detta di molti, di tenere tanti elettori di 5 anni fa a casa, soprattutto tra i più giovani. Sono oltre 22 milioni i nuovi elettori questa volta (2,8 milioni quelli italiani) e secondo un recente sondaggio Eurobarometro, in Italia, due su tre di loro vogliono utilizzare il proprio diritto di voto ed esprimere la propria voce. Ma in che verso? In base agli ultimi sondaggi, a perdere maggiormente seggi saranno i liberali (-20) e i verdi (-18) seguiti da un modesto calo di 5 deputati per i socialisti. A guadagnare saranno il gruppo Id (24), Ecr (12) e la sinistra (6). Anche il Ppe dovrebbe crescere, di 6 seggi. Dunque, Ppe e Socialisti continueranno a essere i due gruppi più numerosi, ma al terzo posto potrebbe esserci Id, sostituendo i liberali. E al quarto, l’Ecr.
Ovviamente siamo nel campo delle ipotesi e anche i sette gruppi parlamentari della legislatura uscente attendono, ovviamente, i risultati delle urne per capire come far pesare vecchi e nuovi rapporti di forza, per rinnovare o ribaltare le alleanze decisive per la maggioranza. Al momento l’opzione più quotata sembra una riconferma del patto delle forze europeiste che ha retto in questa legislatura, la cosiddetta ‘maggioranza von der Leyen’: Partito popolare europeo (Ppe), Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (S&d) e liberali, Renew Europe.
Anche se i popolari da tempo stanno considerando un potenziale spostamento verso destra, sia per un’intesa liberali-popolari-conservatori come auspicato dal presidente del Ppe, Manfred Weber, sia per l’apertura esplicita arrivata dall’attuale presidente della Commissione e candidata per il Ppe, von der Leyen, alla premier italiana, Giorgia Meloni. Se si considera, però, che non è possibile, secondo i sondaggi attuali, una maggioranza di popolari e conservatori da soli, un’opzione sarebbe un campo larghissimo di destra Ppe-Ecr-Id, ma la quasi totalità dei popolari considera assolutamente impraticabile questo tipo di scenario per via della presenza, in Id e anche in Ecr, di forze estremiste ed anti-Ue. Ma lo scenario dell’abbraccio Ppe-Ecr non è impensabile neanche alla parte socialista. Non a caso, i leader politici progressisti hanno promesso di non cooperare né di formare “mai” una coalizione con l’estrema destra. Altrimenti detto: nessuna alleanza con Ecr o Id al Parlamento europeo.