Il realismo di Meloni alla Cop29 mentre Trump ‘provoca’ sull’ambiente

La premier ha chiarito che non c'è alternativa per il momento alle fonti fossili, riportando tutti alla realtà con la quale ogni giorno il mondo deve fare i conti. Il nucleare di ultima generazione, sempre secondo Meloni, potrebbe e dovrebbe essere una soluzione possibile, se non l'unica la più importante, ma non in tempi brevi. Nell'immediato, gas, petrolio e biocarburanti continueranno a muovere le economie e gli interessi.

Partendo dal presupposto che Giorgia Meloni è una delle poche leader che non ha snobbato la Cop 29 (a differenza di von der Leyen, Macron, Scholz, Biden, Modi, Xi Jinping, Lula, l’australiano Anthony Albanese…) e che si è sobbarcata un lungo viaggio fino a Baku per un intervento di pochi minuti, va sottolineata la franchezza con la quale è stata scattata l’istantanea della situazione-Terra. La presidente del Consiglio ha detto, in buona sostanza, che sì il pianeta va salvaguardato; che sì bisogna fare qualcosa per evitare ulteriori disastri ma con la necessità di responsabilità condivise; che sì è indispensabile trovare un punto di caduta tra Paesi emergenti e Paesi sviluppati. Poi però ha anche chiarito che non c’è alternativa per il momento alle fonti fossili, riportando tutti alla realtà con la quale ogni giorno il mondo deve fare i conti. Il nucleare di ultima generazione, sempre secondo Meloni, potrebbe e dovrebbe essere una soluzione possibile, se non l’unica la più importante, ma non in tempi brevi. Nell’immediato, gas, petrolio e biocarburanti continueranno a muovere le economie e gli interessi.

Il giorno dopo che il presidente azero ha parlato dei combustibili fossili come un dono di Dio (lato suo è tutto comprensibilissimo), non è un cazzotto in mezzo agli occhi, semmai la verità guardata in faccia, forse il più realistico e onesto degli approcci alla transizione verde. Che non significa ignorare lo stato di salute (precario) del nostro pianeta ma che vuol dire agire con buonsenso e senza ideologie. Del resto, se l’Europa – con il suo marginalissimo 8 per cento complessivo di emissioni di gas serra – è in prima fila nella lotta per l’ambiente, il futuro presidente statunitense Donald Trump ha deciso di nominare come responsabile dell’Epa (l’agenzia ambientale americana) Lee Zeldin, un dichiarato negazionista climatico. E per chiudere il cerchio sta pensando a un boss dell’energia come coordinatore di un pacchetto di provvedimenti che si pongono l’obiettivo dell’espansione delle trivellazioni, di una certa flessibilità sull’inquinamento e dell’abbandono degli accordi di Parigi per contrastare il riscaldamento della Terra.

Meloni ha confezionato il suo intervento in Azerbaijan mentre oggi per la prima volta “nella stagione” lo smog ha cominciato a soffocare l’India e nella capitale Nuova Delhi l’aria è così inquinata da diventare pericolosa per gli esseri umani. Una boccata d’ossigeno da quelle parti è quasi un abbraccio con la morte, con buona pace dell’Oms. Eppure il premier Modi non se ne cura, o non se ne cura abbastanza. E allora se si mettono in fila Trump (78 anni), Modi (74 anni), Xi Jinping (71 anni), emerge una riflessione amarissima: gli anziani capi di Stato e di Governo delle nazioni più potenti del mondo sono uniti dal doppio filo del menefreghismo ambientale. Che è diverso dal negazionismo. I negazionisti pensano che cosa sta accadendo (Valencia, Emilia Romagna, Liguria, Florida) è la diretta conseguenza dell’alternanza delle ere geologiche, i menefreghisti sono assolutamente consapevoli del disastro a cui si va incontro ma scelgono di difendere gli interessi di bottega.

Immaginare che dalla Cop di Baku possano scaturire riscontri concreti è uno sforzo fideistico estremo, pensare che in questa edizione – considerata una Cop finanziaria – vegano aumentate le risorse messe a disposizione fino a 1000 miliardi di dollari per i paesi poveri un salto nell’ignoto. Intanto Papa Francesco lancia il suo allarme tra ammonimenti e preghiere ma per la Cop dopo due giorni si parla già di fallimento.