A due giorni dalla chiusura della Cop29 di Baku, i negoziati si addensano e i toni si alzano. In serata si attende la pubblicazione delle bozze dei singoli dossier della conferenza delle parti, ma quello più atteso, sulla finanza climatica, è in stallo. Le cifre che circolano sono tante, troppe. Di certo i Paesi del G77 (l’organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, formata da 134 paesi del mondo principalmente in via di sviluppo) vorrebbe leggere nel dossier un numero non equivocabile: 1,3 trilioni di dollari.
La cifra al 2030 è la stima del fabbisogno fatta dagli economisti Nicholas Stern e Amar Bhattacharya, su commissione dell’Onu. Secondo i testi delle Nazioni Unite, solo i Paesi sviluppati sarebbero obbligati a contribuire. Ma l’Europa spinge perché gli emergenti, come la Cina, diano un segnale di disponibilità. I Paesi sviluppati non si sbilanciano, ma si orientano su una somma molto, molto più bassa. Secondo le indiscrezioni di Politico, per trovare un compromesso tra mitigazione e finanza l’Unione europea avrebbe proposto una cifra tra i 200 e i 300 miliardi di dollari all’anno.
“E’ uno scherzo?”, tuona in conferenza stampa Adonia Ayebare, dell’Uganda, a nome dei Paesi del G77. Seguono un silenzio gelido e un applauso scrosciante della sala. “Nella bozza vogliamo vedere una cifra chiara, ed è in trilioni, 1,3 trilioni. Un buon titolo che parli davvero dei grandi ingredienti, poi possiamo approfondire altre questioni“, argomenta. Ayebare denuncia un’assenza di aggiornamenti sui piani dei Paesi sviluppati che “accresce l’incertezza e l’urgenza della nostra situazione“, e insiste: “È imperativo che i Paesi sviluppati si facciano avanti e soddisfino le aspettative dei Paesi in via di sviluppo, che sono in prima linea nell’emergenza climatica e hanno bisogno di un sostegno immediato per mitigare e adattare gli impatti del clima e affrontare efficacemente le perdite e i danni“. Quanto all’ipotesi di ampliare la base dei contribuenti, cioè se far partecipare la Cina tra i finanziatori, la risposta è no. L’accordo di Parigi non si riapre, ma si può valutare “un altro livello nella decisione che parla di contributi volontari. Questo, comunque, viene dopo“, scandisce.
“Molto preoccupato” della “grande fuga dei Paesi sviluppati dalla proprie responsabilità” Diego Pacheco, della Bolivia, a nome dei Paesi in via di sviluppo ‘like minded’ (Lmdc). La finanza “non è carità”, mette in chiaro, ma è un “obbligo legale dei Paesi sviluppati nei confronti dei Paesi in via di sviluppo“. “Non è vero che nel mondo non ci sono soldi, nel mondo ci sono un sacco di soldi”, chiosa Pacheco, che insiste: “I paesi sviluppati hanno programmi per le guerre, usarli per risolvere la crisi climatica potrebbe essere davvero una grande idea. Sono molto creativi, sono molto innovativi nel processo negoziale, quindi dovrebbero essere molto creativi a casa loro per trovare il modo di aumentare la quantità di denaro che i Paesi in via di sviluppo richiedono“. Lo stallo sul capitolo della finanza “è davvero frustrante e deludente” per Ali Mohamed, del Kenya, che parla a nome dei Paesi del gruppo dei negoziatori africani (Agn). “Ci auguriamo che i nostri partner propongano una cifra giustificabile che risponda alle esigenze e all’entità dei crescenti problemi legati al cambiamento climatico”.
A qualche ora dalla chiusura delle bozze dei facilitatori, il ministro dell’Ambiente italiano, Gilberto Pichetto, non è ottimista: “Le posizioni sono ancora distanti, perché chiaramente nella parte finanziaria ci sono richieste molto alte da parte dei Paesi in via di sviluppo“, afferma a margine di un evento nel padiglione Etiopia, parlando di “cifre colossali, non raggiungibili“. Sull’adattamento, finora, la Germania si è impegnata a raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento e ha sottolineato la necessità di contributi del settore privato accanto ai finanziamenti pubblici e ha annunciato un impegno di 60 milioni di euro per il Fondo di adattamento; la Francia si è impegnata a destinare il 30% dei suoi finanziamenti per il clima all’adattamento entro il 2025, gli Stati Uniti di Biden hanno sottolineato la necessità di incrementare i finanziamenti concentrandosi sui soggetti più vulnerabili, annunciando il rispetto dell’impegno annuale di 3 miliardi di dollari per il finanziamento dell’adattamento. L’Italia intende aumentare il proprio contributo a IDA, il Fondo per lo sviluppo della Banca Mondiale, senza parlare però di cifre. Oggi arrivano il contributo australiano di 32,5 milioni di dollari al Fondo Loss and Damage e, ancora da parte degli Stati Uniti, l’annuncio di 325 milioni di dollari al Fondo per le tecnologie pulite. “Dobbiamo sfruttare questo slancio”, esorta il negoziatore capo di Cop29, Yalchin Rafiyev.
La posizione del commissario europeo per l’Azione per il clima, Wopke Hoekstra, è chiara. La Cina dovrebbe essere tra i finanziatori, non si può tornare indietro sull’uscita dai fossili e di cifre non si può parlare se prima non si definiscono i modi di erogazione dei fondi: “Se si considerano le dimensioni del problema, è estremamente importante che tutti coloro che hanno la possibilità di farlo siano all’altezza della situazione e che ci assicuriamo che i più vulnerabili siano quelli che ricevono effettivamente i fondi e vengono aiutati“, sostiene. Le ore che i negoziatori hanno davanti sono lunghe e la strada “in salita“, osserva Hoekstra, ma “ci stiamo impegnando al massimo e ci assicuriamo di farlo con tutti i Paesi e gli interlocutori disponibili“.