“Se non si tratta di una resa, poco ci manca”. Lo dice il presidente ed eurodeputato del Pd, Stefano Bonaccini. “Dazi unilaterali al 15% sono una supertassa sull’export europeo ed italiano. In più l’Unione dovrà accollarsi acquisti di 250 miliardi in prodotti energetici ed investimenti di 200 miliardi all’anno negli Stati uniti per i prossimi tre anni. Di fatto, von der Leyen ha accettato la narrativa trumpiana secondo cui l’Unione è ‘debitrice’ nei confronti degli Usa per il surplus commerciale sulle merci, senza mai far accenno ai 110 miliardi di surplus statunitense nei nostri confronti per quanto riguarda i servizi”, sottolinea a La Stampa. E ancora: “Appare evidente come il negoziato si sia limitato alla gestione del danno, senza tutelare appieno gli interessi di lavoratori e imprese e senza mettere sul tavolo alcun interesse offensivo, in primis un accordo minimo per una tassa globale per le multinazionali”.
Bonaccini poi attacca: “Pretenderemo un cambio di passo da parte della Commissione, che di certo non sta brillando per visione e scelte strategiche. Per cui ci batteremo per cambiare la proposta di bilancio 2028/2034 che taglia i fondi all’agricoltura e per la messa a terra dell’agenda Draghi con atti concreti, a partire dall’abolizione del diritto di veto, che rendano l’Unione europea un vero gigante politico, non solo economico. È su questo che vogliamo un impegno concreto da parte di von der Leyen già nel suo intervento sullo Stato dell’Unione il prossimo 10 settembre in Plenaria a Strasburgo”. Poi sul governo di Giorgia Meloni: “Il governo italiano è in evidente affanno e imbarazzo. È palese come alcuni governi abbiano influenzato maggiormente il negoziato, a partire da quello tedesco che ha ottenuto un significativo miglioramento della situazione per l’automotive, mentre altri non abbiano toccato palla. A giudicare dalle notizie che arrivano per le manifatture strategiche del Made in Italy, dal settore farmaceutico che non si capisce se sia incluso nell’accordo, alla siderurgia con dazi al 50% su acciaio e alluminio, il nostro governo rientra nella seconda categoria. Per l’Italia saranno circa 20 miliardi di perdita secca e migliaia di posti di lavoro a rischio”.