“Il tempo della cautela è finito. L’Europa si trova davanti una sfida esistenziale: mentre Stati Uniti e Cina proteggono le proprie industrie e investono con decisione nelle nuove tecnologie, noi restiamo prigionieri di regole, vincoli e ideologie che rischiano di soffocare crescita e lavoro”. Lo scrive Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, in un suo intervento su Il Corriere della Sera. “La corsa ai sussidi e le tensioni globali stanno minando la tenuta del nostro sistema produttivo e del nostro modello sociale. O saremo capaci di unire davvero — e non solo a parole — competitività e decarbonizzazione, oppure vedremo assottigliarsi la nostra base industriale, i salari e la coesione sociale, mettendo a repentaglio l’idea stessa di Europa”, si legge. E ancora: “Crediamo nei valori dell’Unione, convintamente. Ma l’obiettivo di ridurre del 90% le emissioni entro il 2040, nelle condizioni attuali, non è realistico. Senza una strategia industriale comune, la transizione ecologica si è già trasformata in deindustrializzazione. Il motore industriale europeo si sta spegnendo, proprio mentre le altre grandi potenze portano avanti muscolari politiche industriali e commerciali”.
Perché, evidenzia Orsini, “i numeri contano: l’Europa pesa per il 6% delle emissioni globali ma impone un prezzo alla CO2 anche fino a 4-6 volte più alto di quello delle poche altre aree in cui essa si paga, 3 grammi di CO2 su 4 sono emessi nel mondo senza alcun onere. Abbiamo apprezzato la chiarezza del Governo italiano nel porre con forza il tema dell’energia competitiva e della neutralità tecnologica ma ci preoccupano i continui rinvii della Commissione Europea ancorata a visioni del passato, che non spingono il Consiglio Europeo nella giusta direzione, con la necessaria rapidità. La transizione non può ridursi ad una zelante battaglia donchisciottesca, in cui non ci si accorge neanche che i mulini a vento hanno le pale made in China. Servono prima condizioni economiche, industriali e infrastrutturali sostenibili, poi obiettivi ambientali graduali e verificabili”.
E ancora: “Paghiamo l’energia fino al doppio dei nostri concorrenti internazionali. Senza un piano per ridurre i costi e garantire energia pulita adatta alle nostre imprese rischiamo di far scappare investimenti e imprese, lasciando qui solo bollette e buone intenzioni. Servono regole comuni, una fiscalità più equa e una vera neutralità tecnologica. Se vogliamo davvero competere dobbiamo poter usare tutte le carte sul tavolo: nucleare, biocarburanti, idrogeno, ibrido. L’Ets è stato mal gestito e da potenziale soluzione all’avanguardia si è trasformato in una mera tassa — l’ennesima — sul lavoro, sulle imprese e sull’energia. Una tassa che paradossalmente si rafforza nell’assenza di tecnologie mature e pronte all’uso”.