Siderurgia, Gozzi (Federacciai): Se l’Europa non cambia l’industria muore

“Essere europeisti convinti non significa prendere tutto a scatola chiusa e non vedere gli errori e la presunzione di chi fino ad oggi, avvolto nella cultura del ‘primo della classe’, ha governato a Bruxelles, e si guarda bene dal fare la benché minima autocritica, nonostante tutti gli indicatori economici e industriali ci dicano che se si va avanti così sarà un disastro”. Lo dice il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, in un suo intervento su Piazza Levante. “Nessuno in Piazza del Popolo a Roma sabato scorso ha ricordato il grido di dolore di Draghi e la sua pressante richiesta all’Europa di porre in atto cambiamenti radicali se non vuole morire. Eppure era il momento di farlo”, sottolinea ancora il numero uno di Duferco. E ancora: “I primi documenti prodotti dalla nuova Commissione Europea a proposito di crisi di competitività e declino dell’industria (la Bussola della Competitività, il primo Omnibus, il Clean Industrial deal e l’Action plan per la siderurgia) sono deludenti e preoccupanti perché pur facendo tutti formale richiamo al Rapporto Draghi e alla sua richiesta di cambiamenti radicali nelle politiche della UE, nessuno di essi contiene in realtà misure concrete capaci davvero di invertire la rotta”. Gozzi evoca poi la marcia dei 40 mila di Torino, negli Anni Ottanta: “Oggi occorrerebbe una mobilitazione simile, non a Torino ma a Bruxelles, sotto gli uffici della Commissione, per far sentire alla politica e alla burocrazia guardiana comunitaria, che sempre di più, isolata nella torre di cristallo, sembra la vera padrona del vapore, la rabbia di tutti quelli che lavorano nelle imprese industriali e che si sentono totalmente abbandonati – sottolinea -Abbandonati dalle scelte della Ue che hanno guardato esclusivamente ai diritti, all’ambiente, ad una globalizzazione non governata che ha colpito i più deboli e non ha protetto il sistema manifatturiero europeo dalle importazioni sleali e in dumping. Abbandonati dalle politiche della Ue che con un approccio tutto ideologico al green deal ha sacrificato il futuro dell’industria, specie quella di base (acciaio, chimica, cemento, carta, vetro ecc.) da cui dipendono tutte le filiere a valle, ad obbiettivi comunque irraggiungibili perché non condivisi dal resto del mondo”.