Ma insomma, gli Stati vogliono un accordo sul price cap del gas?

Una storia partita in una melma di volontà e resistenze diverse, che ha iniziato a puzzare quando Charles Michel ha tentato di attribuire la colpa di un mancato intervento esclusivamente alla Commissione europea

La storia del price cap, ovvero di porre un limite europeo al prezzo del gas, ha iniziato a puzzare pesantemente quando il 9 novembre il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha attaccato frontalmente la presidente della Commissione Ursula von der Leyen in Parlamento. Il belga accusava la tedesca di non essersi data da fare a sufficienza per presentare una proposta ai ministri dell’Unione.

Von de Leyen l’ha presa con filosofia, ha taciuto per una giornata, poi ha risposto. Ed ha risposto ricordando che abbondantemente prima dell’estate la Commissione, spinta anche da Mario Draghi, aveva espresso la necessità di un provvedimento del genere, proposta caduta però nel pressoché totale silenzio dei governi. Poi il 18 ottobre arrivò una prima idea scritta dai funzionari di von der Leyen, anche quella, vista e accantonata senza alcun seguito. Il 9 novembre bel bello Michel prende e attacca. Era iniziato lo scaricabarile (per non dire che il Belgio, Paese del quale Michel è stato primo ministro è tra i governi capofila a favore di un price cap).

La proposta della Commissione alla fine è arrivata di nuovo sul tavolo dei ministri. C’è voluto tempo per conoscerla tutta, è arrivata a pezzi e bocconi, prima estremamente vaga, poi sempre più dettagliata, fino al testo finale, sostanzialmente respinto dal Consiglio energia del 24 novembre. Ma non respinto del tutto, perché una nuova riunione per discuterne è alle viste il 13 dicembre, in un vertice convocato lì per lì, su due piedi (ed infatti manca ancora l’invito ufficiale). La Commissione ha già fatto sapere che non ci sarà una nuova proposta: “si mettessero d’accordo loro, a questo punto”.

Che gioco stanno giocando i governi? Un gioco di rinvio ad oltranza, scaricando però la responsabilità non sulla loro incapacità, forse anche impossibilità, a fare sintesi, ma sulla presunta o “vaghezza” o “timidezza” o “inutilità”, o “eccessività” della proposta della Commissione.

Il testo uscito dagli uffici della commissaria Kadri Simson è in effetti complesso, pieno di condizionalità, potrebbe anche non essere una buona proposta. Ma la verità è che è oggettivamente impossibile fare una proposta perché gli Stati ad ogni passo che vien fatto oppongono nuove resistenze, nuovi “ma”, nuovi giudizi di insufficienza. Si capisce dunque che la Commissione sia riluttante a presentare un testo che certamente verrà impallinato, anche perché dai governi non è venuta alcuna indicazione univoca per lavorare in una direzione o in un’altra.

Anche il fronte della quindicina di Stati favorevoli è in realtà ben poco compatto, con Paesi come il Belgio che già stanno lavorando a forme di price cap nazionali, o come l’italiano che nella totale incertezza del nuovo ministro Pichetto Fratin sembrano non aver un’idea chiara di dove stanno, perché e di dove vogliono arrivare.

I tedeschi son lì che difendono ad ogni prezzo (è il caso di dirlo) la loro interpretazione di sicurezza delle forniture, gli olandesi che non vogliono veder smontato il mercato del gas che ospitano ma che per praticamente univoca opinione oramai non funziona più e non si può più aggiustare.

Per una volta si può dire che la Commissione è impotente, di fronte alla oramai quasi evidente volontà degli Stati di non avere un price cap.