“L’idrogeno verde è una delle soluzioni che propongono le compagne energetiche per rimpiazzare in particolare gli usi che difficilmente saranno sostituiti dall’elettricità. Parliamo della creazione dell’ammoniaca o dei trasporti pesanti, però in prospettiva penso che alla fine del 2050 avremo soltanto il 15% di idrogeno verde. Se deve essere verde vuol dire costruire anche tante centrali solari e eoliche per produrlo e oggi i costi sono un po’ superiori, ma sono confidente che nei prossimi dieci anni l’idrogeno verde sarà una realtà parziale. In particolare i paesi africani vogliono esportarlo in Europa, quindi siamo tutti confidenti che sia una buona soluzione. Non è però la soluzione né per l’Europa né per l’Africa, è una parziale soluzione” per la decarbonizzazione e l’elettrificazione”. Così Roberto Vigotti, segretario generale della fondazione Res4Africa, a margine della Csew, la Cairo Sustainable Energy Week in corso al Cairo, capitale dell’Egitto. “Purtroppo in Africa le rinnovabili, nonostante siano il continente con più solare e più eolico, sono ancora molto indietro. Ogni anno vengono immesse tantissime quantità di energie rinnovabili, in particolare in America, in Europa e in Cina, in Africa solo il 2%. Il perché è facile, ci sono le resistenze, ci sono dei regolamenti. Quindi l’Africa dovrebbe aumentare soprattutto gli investimenti privati, perché non è che quelli pubblici africani abbiano un grande input, ma se un Enel, una Terna, una Cesium potessero investire… Spesso non è possibile fare investimenti privati perché sono ancora bloccati dal loro sistema di policy. Per cui l’Africa non è ancora capace di stoccare energia rinnovabile, tranne l’idroelettrico. Quindi dobbiamo fare in modo che l’approccio sistemico, cioè rinnovabili più accumulo, diventi un must. Oggi devo dire che in questa conferenza molti paesi hanno parlato di smart grid, cioè reti intelligenti che hanno i sensori digitali che possono fare un accumulo”, aggiunge Vigotti. “Le scelte si fanno insieme e in Europa abbiamo la fortuna di avere un sistema di Paesi che condivide le scelte come l’elettrificazione, che però non è una cosa a breve termine, è una cosa che va con il suo tempo e vedere i benefici di un’elettrificazione massiccia, come infatti in Europa è accaduto, ma in Africa e in altri paesi, è sbagliato perché nel corto termine non si fa. Bisogna avere una pazienza per 20-30 anni, anche per i benefici che poter dare l’energia elettrica agli africani vuol dire permettere ai giovani africani di diventare autonomi”, ha aggiunto. “Immaginiamo i ragazzi della Cina, della Thailandia, del Brasile… Nell’Africa sub-sahariana il 30% ha l’elettricità e il 70% ha il telefonino. Bisogna poter dare la possibilità di diventare esperti in elettricità e avere pazienza… noi come Res4Africa, insieme ai campioni italiani, riusciamo a poter trasmettere loro la confidenza”.
In generale, “l’Africa potrebbe essere autonoma energeticamente, purtroppo gli eventi recenti hanno fatto sì che gli europei continuino a cercare in Africa un aspetto un po’ coloniale per prendere i loro gas, il loro carbone. Sicuramente gli africani sono capaci nei prossimi vent’anni ad arrivare all’autonomia e addirittura a esportare l’energia elettrica da fonti rinnovabili. C’è un ritardo dovuto al fatto che l’approccio attuale, a breve termine, è quello di andare in alcuni Paesi e prendere il gas che a noi manca dallo scoppio della guerra in Ucraina. Insieme, l’Italia sta però facendo un ottimo lavoro con il Piano Mattei, noi siamo impegnati a costruire presto in Marocco un centro intercontinentale sull’energia rinnovabile e sull’idrogeno. Siamo contenti che l’Italia abbia scelto di formare gli africani. Come si dice, è meglio insegnare a pescare che a dare il pesce”.