A Cima Uomo, nella zona delle Dolomiti trentine, sono franati circa 100-200 metri cubi di roccia che hanno sollevato un polverone. Considerati i numerosi crolli che si sono verificati negli ultimi mesi nell’intero arco alpino (dal Cervino al Monte Bianco, passando per la Marmolada) molti hanno pensato a un fenomeno legato ai cambiamenti climatici in atto ormai da anni, ma molto più evidenti in questi primi mesi del 2022. Mauro Zambotto, dirigente del servizio geologico – Protezione civile della Provincia autonoma di Trento spiega, invece, che si tratta semplicemente di un fenomeno naturale.
“In sostanza non è stato un grandissimo evento – dice -, anzi la portata è stata molto piccola. Si tratta di circa 100-200 metri cubi di roccia. Si è verificato il distacco di una placca rocciosa sotto Cima Uomo a circa 3.010 metri sul livello del mare che si è poi disintegrata in sassi e polvere. Si tratta di un fenomeno naturale. Molti hanno la percezione che ci siano crolli sempre più frequenti, ma sono sempre accaduti. Chi frequenta le Dolomiti vede sui sentieri macerie o resti di frane più o meno antiche”.
La situazione è subito rientrata nella normalità e non ci sono state ripercussioni dal momento che nelle vicinanze non ci sono sentieri. “Non è da escludere però – prosegue Zambotto – che avverranno nuovi crolli, forse cadranno blocchi singoli. Il fenomeno delle frane appartiene a tutto l’arco alpino e alle Dolomiti in particolare. Se sono state inserite nel patrimonio dell’Unesco è anche per la loro conformazione morfologica; sono così belle e particolari con le loro guglie proprio perché avvengono frane che disegnano le cime in maniera frastagliata e disomogenea”.
Sede di un parco nazionale, di nove parchi naturali e del più grande comprensorio sciistico italiano, il 26 giugno 2009 il Comitato esecutivo della Convenzione sul patrimonio materiale dell’umanità dell’Unesco le ha dichiarate infatti Patrimonio dell’umanità. Buona parte della composizione chimica delle rocce dolomitiche è carbonato doppio di calcio e magnesio, ma sulla Marmolada, ad esempio si trovano in prevalenza calcari bianchi molto compatti (derivati da scogliere coralline), con inserti di materiale vulcanico.
La genesi di questo tipo di roccia carbonatica, spiegano i geologi, inizia attraverso accumuli di conchiglie, coralli e alghe calcaree e in ambiente marino e tropicale, che si verificarono nel Triassico, circa 250 milioni di anni fa, in zone con latitudine e longitudine molto diverse dall’attuale locazione delle Dolomiti, dove esistevano mari caldi e poco profondi. Sul fondo di questi mari si accumularono centinaia di metri di sedimento che, sotto il loro stesso peso e perdendo i fluidi interni, si trasformarono in roccia. Successivamente, lo scontro tra la placca europea e la placca africana fece emergere queste rocce innalzandole oltre 3.000 metri sopra il livello del mare.
Alla luce di questo nuovo crollo, c’è da preoccuparsi? “Il monitoraggio su superfici così estese è impossibile – prosegue Zambotto –, ma se ci saranno problemi, si procederà con il blocco degli accessi alla montagna o con la diversione dei sentieri. Il 23 agosto, proprio dalle parti di Cima Uomo, è già in programma un sopralluogo per monitorare il permafrost, terreno o roccia fratturata gelata per buona parte dell’anno. L’arretramento del permafrost può essere una delle cause dei crolli; oppure anche le piogge possono giocare un ruolo in questi fenomeni franosi. Le fessure imbevute di acqua tendono infatti ad allargarsi e a spaccarsi a causa del peso. Ma è comunque un fenomeno naturale, perché il motore principale dei crolli è la forza di gravità. Certo, i cambiamenti climatici possono accelerare questi fenomeni, vedi l’arretramento del permafrost, ma in questo caso credo sia eccessivo dire che la colpa è dell’uomo, anche se la sua parte la fa, con le emissioni di gas serra”. Zambotto invita quindi a non cedere a facili allarmismi: “Le persone possono continuare a frequentare le montagne, ma con la dovuta cautela”.