Gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno raggiunto un accordo, nella notte italiana fra sabato e domenica, sul primo Trattato internazionale per la protezione dell’Alto Mare, volto a contrastare le minacce agli ecosistemi vitali per l’umanità. “La nave ha raggiunto la riva“, ha annunciato la presidente della conferenza Rena Lee presso la sede delle Nazioni Unite a New York, tra gli applausi prolungati dei delegati. Dopo oltre 15 anni di discussioni, compresi quattro anni di negoziati formali, la terza sessione finale di New York è stata finalmente quella giusta, o quasi.
I delegati hanno messo a punto il testo, che ora è congelato nella sostanza, ma sarà formalmente adottato in un secondo momento, dopo essere stato controllato dai servizi legali e tradotto nelle sei lingue ufficiali delle Nazioni Unite. Il contenuto esatto del testo non è stato reso noto immediatamente, ma gli attivisti lo hanno salutato come un momento di svolta per la protezione della biodiversità. L’accordo prevede infatti di collocare il 30% dei mari in aree protette entro il 2030 in modo da salvaguardare migliaia di specie e aiutare gli ecosistemi. “È una giornata storica per la conservazione e un segno che in un mondo diviso la protezione della natura e delle persone può trionfare sulla geopolitica“, ha dichiarato Laura Meller di Greenpeace.
Dopo due settimane di intense discussioni, compresa una maratona di venerdì sera, i delegati hanno finalizzato un testo che non può più essere modificato in modo significativo. “Non ci saranno riaperture o discussioni sostanziali” su questo tema, ha detto Lee ai negoziatori. Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres si è congratulato con i delegati, salutando una “vittoria del multilateralismo e degli sforzi globali per contrastare le tendenze distruttive che minacciano la salute degli oceani, ora e per le generazioni a venire“.
Anche l’Unione Europea ha accolto con favore questo “passo cruciale per preservare la vita marina e la biodiversità che sono essenziali per noi e per le generazioni future”, attraverso il Commissario europeo per l’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, che si è detto “molto orgoglioso” del risultato.
L’alto mare inizia dove finiscono le zone economiche esclusive (ZEE) degli Stati, a un massimo di 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa e non è quindi sotto la giurisdizione di nessuno Stato. Pur rappresentando oltre il 60% degli oceani e quasi la metà del pianeta, l’alto mare è stato a lungo ignorato nella battaglia ambientale, a favore delle aree costiere e di alcune specie emblematiche. Con il progredire della scienza, è stata dimostrata l’importanza di proteggere gli oceani nel loro complesso, che pullulano di biodiversità spesso microscopica, forniscono metà dell’ossigeno che respiriamo e limitano il riscaldamento globale assorbendo gran parte della CO2 emessa dalle attività umane. Ma gli oceani si stanno indebolendo, vittime di queste emissioni (riscaldamento, acidificazione delle acque, ecc.), dell’inquinamento di ogni tipo e della pesca eccessiva. Per questo il nuovo trattato, quando entrerà in vigore dopo essere stato formalmente adottato, firmato e ratificato da un numero sufficiente di Paesi, consentirà la creazione di aree marine protette in queste acque internazionali.
E’ stato un capitolo molto delicato a cristallizzare le tensioni fino all’ultimo minuto: il principio della condivisione dei benefici per le risorse genetiche marine raccolte in alto mare. I Paesi in via di sviluppo, che non hanno i mezzi per finanziare spedizioni e ricerche molto costose, si sono battuti affinché non fossero esclusi dall’accesso alle risorse genetiche marine e dalla condivisione dei benefici previsti dalla commercializzazione di queste risorse – che non appartengono a nessuno – da cui le aziende farmaceutiche o cosmetiche sperano di ottenere molecole miracolose. Come in altri forum internazionali, in particolare i negoziati sul clima, il dibattito ha finito per essere una questione di equità Nord-Sud, secondo gli osservatori.