Allarme clima, l’Oceano ribolle. Il 2022 segna un nuovo record di riscaldamento

Dati preoccupanti sia per gli ecosistemi marini sia per quelli terrestri

Oceano

Il riscaldamento dell’Oceano segna, per il settimo anno consecutivo, un nuovo record. Lo denuncia lo studio ‘Another year of record heat for the oceans’, pubblicato sulla rivista ‘Advances in Atmospheric Science’.
Nello specifico, il contenuto di calore dell’Oceano (OHC, Ocean Heat Content) stimato nel 2022 tra la superficie e i 2000 metri di profondità, è aumentato di circa 10 Zetta Joule (ZJ) rispetto al valore record raggiunto nel 2021, equivalenti a circa 100 volte la produzione mondiale di elettricità nel 2021, circa 325 volte quella della Cina, 634 volte quella degli Stati Uniti e poco meno di 9.700 volte quella dell’Italia. Per dare un’idea della enormità del valore di energia accumulato, 10 ZJ di calore possono mantenere in ebollizione 700 milioni di bollitori da 1,5 litri di acqua per tutta la durata dell’anno.
Questo aumento esponenziale della temperatura delle acque è accompagnato da un aumento della stratificazione e dalla variazione di salinità, che prefigurano quale sarà il futuro del mare in un clima in continuo riscaldamento.

L’articolo, firmato da un team internazionale di 24 ricercatori di 16 istituti – tra cui Simona Simoncelli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e Franco Reseghetti dell’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) – analizza osservazioni, dagli anni ’50 a oggi, appartenenti a due dataset internazionali: il primo dell’Institute of Atmospheric Physics (IAP) della Chinese Academy of Sciences (CAS), il secondo del National Centers for Environmental Information (NCEI) della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA).

“Il riscaldamento globale dell’Oceano continua e si manifesta sia con nuovi record del contenuto termico delle acque ma anche con nuovi valori estremi per la salinità. Le aree già salate diventano ancora più salate mentre le zone con acque più dolci diventano ancora meno salate: c’è un continuo aumento dell’intensità del ciclo idrologico”, spiega il professor Lijing Cheng dell’Accademia Cinese delle Scienze, primo autore del lavoro.
Tra le tante conseguenze, l’aumento della salinità e della stratificazione dell’Oceano può alterare il modo in cui il calore, il carbonio e l’ossigeno vengono scambiati tra l’Oceano e l’atmosfera. Questo è un fattore che può causare la deossigenazione all’interno della colonna d’acqua che suscita forte preoccupazione, non solo per la vita e gli ecosistemi marini, ma anche per gli esseri umani e gli ecosistemi terrestri.
Quanto al Mediterraneo, si conferma il bacino che si scalda più velocemente tra quelli analizzati nello studio ma il contenuto di calore nel 2022 si attesta allo stesso livello del 2021 secondo le stime dello IAP-CAS (Institute of Atmospheric Physics, Chinese Academy of Sciences). I dati del modello di rianalisi del Mediterraneo prodotti e distribuiti dal servizio marino europeo Copernicus indicano invece una sua diminuzione rispetto al 2021. Queste differenze possono attribuirsi alle diverse tecniche di elaborazione dei dati e alla loro distribuzione spazio-temporale. Variazioni di breve periodo (inter-annuali) sono comunque parte caratteristica del sistema ed ulteriori approfondimenti sono attualmente in corso.

“Ingv ed Enea collaborano già nell’ambito del progetto Macmap, finanziato da Ingv e condotto in collaborazione con la Grandi Navi Veloci (Gnv), che punta a studiare il cambiamento climatico attraverso il monitoraggio su base stagionale della temperatura dei Mari Ligure e Tirreno lungo la tratta Genova-Palermo e ad analizzare i dati di rianalisi e i modelli climatici che vanno dal 1950 al 2050”, evidenzia Simona Simoncelli dell’Ingv.
“La collaborazione con questo team internazionale, in particolare con il professor Cheng, ci permette di mantenere alta l’attenzione sul riscaldamento globale e il suo impatto sull’Oceano e di conseguenza sull’uomo e le attività economiche ad esso strettamente correlate”, aggiunge Franco Reseghetti dell’Enea. “Riteniamo che continuare a monitorare sistematicamente questi cambiamenti nell’Oceano rimanga l’unico modo per comprendere ed essere maggiormente consapevoli delle loro conseguenze e per poter elaborare strategie efficaci di mitigazione e adattamento”.