Distruggere i Pfas, inquinanti definiti “eterni” per la loro estrema resistenza e tossicità che sono presenti in molti oggetti di uso quotidiano e possono causare gravi problemi di salute. Questo l’obiettivo del team di scienziati di cui fa parte anche William Dichtel della Northwestern University (Stati Uniti) e le cui ricerche sono state recentemente pubblicate sulla rivista ‘Science’.
La tecnica, che richiede temperature relativamente basse e “reagenti comuni“, è stata sviluppata da chimici statunitensi e cinesi il cui lavoro offre dunque una potenziale soluzione a un problema persistente per l’ambiente, il bestiame e gli esseri umani. Sviluppate negli anni ’40, le sostanze Pfas (perfluoroalchiliche) si disintegrano molto lentamente e si trovano nei materiali di imballaggio, nei prodotti per capelli e di bellezza come shampoo e trucchi nonché sulle padelle antiaderenti. Nel corso del tempo, si sono diffuse nell’ambiente (acqua, suolo, aria, falde acquifere, laghi e fiumi), sconvolgendo interi ecosistemi. Anche in Italia il problema non è sconosciuto. Nel corso dell’estate del 2013, a seguito di alcune ricerche sperimentali su potenziali inquinanti emergenti effettuate da Cnr-Irsa su incarico del Ministero dell’Ambiente, fu segnalata la presenza di Pfas in acque sotterranee, superficiali e potabili di tre province venete (Padova, Verona e Vicenza).
La scorsa settimana, uno studio svedese ha dimostrato che l’acqua piovana “non è sicura da bere in tutto il mondo a causa degli alti livelli di Pfas“. L’esposizione a tali sostanze può avere effetti sulla fertilità e sullo sviluppo del feto, può anche comportare un aumento del rischio di obesità o di alcuni tipi di cancro (prostata, reni e testicoli) e un aumento dei livelli di colesterolo. I metodi attuali per abbattere questi inquinanti richiedono trattamenti estremamente complessi, come l’incenerimento a temperature molto elevate o l’irradiazione a ultrasuoni. La loro natura quasi indistruttibile è legata ai lunghi legami di carbonio e fluoro che li compongono, tra i più forti della chimica organica.
Lo studio pubblicato su Scienze, tuttavia, offre una possibile soluzione: i ricercatori sono riusciti a identificare un punto debole in alcuni tipi di Pfas, per cui un gruppo di atomi di ossigeno può essere colpito da un solvente e da un reagente comune a temperature medie comprese tra 80 e 120 gradi. Quando ciò accade, “l’intera molecola collassa in una cascata di reazioni complesse“, spiega Dichtel, uno degli autori dello studio. Gli scienziati hanno anche utilizzato metodi computazionali per mappare la meccanica quantistica alla base di queste reazioni chimiche, per migliorare il processo di abbattimento dei Pfas. Lo studio attuale si è concentrato su 10 inquinanti, tra cui il GenX che ha contaminato il fiume Cape Fear, in North Carolina (Stati Uniti), ma esistono più di 12mila sostanze chimiche “eterne“, secondo l’Agenzia statunitense per la Protezione dell’ambiente. “Altri tipi di Pfas non hanno lo stesso ‘tallone d’Achille’, ma ognuno ha il suo punto debole – ha confermato Dichtel – e se riusciamo a identificarlo, allora sapremo come attivarlo per distruggerlo“.