Non si arresta il consumo di suolo nel nostro Paese, anzi. Nel 2022 accelera arrivando alla velocità di 2,4 metri quadrati al secondo e avanzando, in soli dodici mesi, di altri 77 km2, oltre il 10% in più rispetto al 2021, causando danni enormi agli ecosistemi, alle nostre città e alle tasche dei cittadini. La fotografia che emerge dal nuovo rapporto – il decimo – ‘Il consumo di suolo in Italia 2023’ di Ispra-Snpa (Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente) è desolante. Lo scorso anno la copertura artificiale si estendeva per oltre 21.500 km2, cioè il 7,14% del suolo italiano (7,25% al netto di fiumi e laghi). I cambiamenti dell’ultimo anno si concentrano in alcune aree del Paese: Lombardia (902 ettari in più), Veneto (+739 ettari), Puglia (+718) ed Emilia-Romagna (+635).
Il danno non è solo ambientale, ma anche economico. Tra il 2006 e il 2022 i costi ‘nascosti’ dovuti alla perdita dei servizi ecosistemici causata dal consumo eccessivo di suolo sono pari a 9 miliardi di euro ogni anno e il valore più alto di perdita è associato al servizio di regolazione del regime idrologico, cioè all’aumento del deflusso superficiale prodotto dal consumo di suolo che è, infatti, tra gli effetti più significativi. La perdita di stock più elevata rimane quella della produzione agricola. La trasformazione del territorio nazionale ‘mangia’ terreno anche alle coltivazioni: in 12 mesi sono stati cancellati altri 4.800 ettari, cioè il 63% di tutto il consumo di suolo. “La superficie agricola utilizzabile in Italia – è l’allarme lanciato da Coldiretti – si è ridotta ad appena 12,8 milioni di ettari”, causando “effetti sulla tenuta idrogeologica del territorio, sul deficit produttivo del Paese e sulla la dipendenza agroalimentare dall’estero”.
Ma gli effetti sono evidenti anche e soprattutto in caso di emergenza. Nel 2021 sono stati 900 gli ettari di suolo resi impermeabili nelle aree a pericolosità idrogeologica media, dove l’11% di territorio è ormai impermeabilizzato, un valore sensibilmente superiore alla media nazionale (con un aumento medio percentuale dello 0,33%). Il che significa che quando piove l’acqua non può essere trattenuta dal terreno, aumentando il rischio di inondazioni e allagamento. Considerando il consumo di suolo totale dell’ultimo anno, più del 35% (più di 2.500 ettari) si trova poi in aree a pericolosità sismica alta o molta alta. Infine, il 7,5% (quasi 530 ettari) è nelle aree a pericolosità da frana. I dati, commenta Anbi, “testimoniano l’ulteriore esposizione del territorio al rischio, complice l’insistere di una sfrenata cultura del cemento sulla cultura della prevenzione. Il quadro è quindi chiarissimo; alla prossima emergenza di origine naturale, nessuno potrà chiedere: come mai?”.
A determinare i consumi più alti sono la logistica e la grande distribuzione organizzata (con un picco di crescita superiore ai 506 ettari), le grandi infrastrutture (rappresentano l’8,4% dello sfruttamento totale), nuovi edifici, piazzali e parcheggi, aree estrattive (5,4% del totale). Per l’installazione a terra di impianti fotovoltaici si sono resi necessari quasi 500 ettari di terreno, 243 dei quali rientrano nella classificazione europea di consumo di suolo. Esistono, però, realtà virtuose. Tra i comuni grandi con più di 50 mila abitanti ci sono Ercolano in Campania (solo 0,2 ettari consumati in più nel 2022), tra i comuni medi, Montale in Toscana (nessun consumo) e San Martino Siccomario in Lombardia tra i comuni con meno di 10.000 abitanti (0,2 ettari in meno). Tra i capoluoghi delle città metropolitane risparmiano suolo Genova, Reggio Calabria e Firenze.
“Di fronte a questo quadro – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale Legambiente – torniamo a ribadire l’urgenza per l’Italia di approvare una legge contro il consumo di suolo, in stallo da anni in Parlamento, e su cui ci aspettiamo dal Governo Meloni delle risposte concrete”. Richiesta condivisa anche dal co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli, che chiede “subito una discussione in aula”.