Chi nei primi anni 2000 si approcciava al mondo del web con curiosità e aveva, tra le sue passioni, la cosmetica, non potrà non ricordare gli albori del Biodizionario, il nome di Fabrizio Zago, il termine ‘spignatto’ applicato all’autoproduzione di creme, shampoo e saponi, il terribile Inci (Nomenclatura Internazionale degli Ingredienti Cosmetici) che rivelava il contenuto di ciò, che ogni giorno, ci mettevamo sul corpo. I social di oggi non esistevano e ai corsi universitari di comunicazione si parlava di forum e di blog come di grandi innovazioni (che, in effetti, lo sono state). C’era un fermento intorno al mondo ecobio, i più coraggiosi osavano accennare al problema del cambiamento climatico e al tema della sostenibilità, i concetti di abitudini cosmetiche e impatto sul pianeta iniziavano a essere inseriti nella stessa frase. Una piccola rivoluzione nata sul web, grazie al passaparola, ma anche per merito di piccole, piccolissime aziende che con sforzi economici enormi e poche possibilità (economiche e di comunicazione) di raccontarlo tentavano di spiegare che era possibile “farsi belli senza distruggere il pianeta“.
Barbara Righini è stata una delle prime voci a raccontare qualcosa di più di questo ‘movimento’ di rivoluzione green con il forum ‘Sai cosa ti spalmi?’, online dal 2005, e che ancora oggi raccoglie una community di oltre 17mila persone. Numeri sicuramente lontani da quelli del mondo dorato di Instagram, dove, però, manca quella componente visibile di scambio, propria, invece, dei forum. Qui, negli anni, si è parlato di tutto: di ingredienti contenuti nei burrocacao, di come farsi da soli creme antirughe, ci si scambiavano consigli su dove acquistare le materie prime per i propri spignatti. E sì, arrivavano in casa pacchi postali contenenti metilglucosio sesquistearato per fare il balsamo per i capelli o l’ammorbidente per la lavatrice, glicerina, olii essenziali, acido citrico, attivi e sostanze funzionali di ogni genere, emulsionanti, addensanti.
Erano anni di scoperta, in cui la curiosità, per essere soddisfatta, contava su poche – pochissime – fonti. Una di queste era il forum Promiseland, al cui interno c’era uno spazio dedicato ai prodotti sostenibili, curato da Fabrizio Zago, chimico esperto di questi temi. “Quando ho scoperto quel forum – racconta a GEA Barbara Righini – ho capito che quei temi dovevano uscire dalla nicchia ed essere raccontati”. Da qui la decisione di aprire un blog dedicato, che presto si è trasformato in un portale (“così era più semplice organizzare i contenuti”) e, infine, il forum. “È stato un enorme successo – dice – perché è come se le persone si fossero svegliate da un torpore. Le informazioni erano poche, ma tutti volevamo saperne di più”. Poco dopo è nato anche l’e-commerce e il negozio fisico di Pescara, con una linea di prodotti a marchio ‘Scts’. ‘Sai cosa ti spalmi’ è stato senza dubbio il primo shop online dedicato totalmente alla cosmesi ecobio. E dopo pochissimo tempo il settore è esploso, moltiplicando non solo i luoghi, virtuali e non, in cui acquistare articoli green, ma anche il numero di aziende produttrici.
L’approccio dei consumatori, però, è cambiato moltissimo negli ultimi 15 anni. “Prima – racconta Righini – c’è stata la fase della scoperta. Le persone si interrogavano su ciò che si mettevano sul corpo e imparavano a conoscere gli ingredienti, spaventati che potessero far male alla pelle. Ora, invece, la riflessione si è spostata su un piano ambientale. La narrazione di oggi denuncia i problemi, ma non offre soluzioni e in questa atmosfera siamo travolti da ansia e paura”.
L’ex Biodizionario – che oggi si chiama EcoBioControl – spiega Barbara “seppur con i suoi limiti, è stato uno strumento dalla potenza devastante in quel momento storico perché ha messo nelle mani delle persone il dubbio, la curiosità e ha ispirato gli enti certificatori”. Attraverso il sito (o l’app), infatti, era ed è possibile controllare l’Inci (cioè l’elenco degli ‘ingredienti’ contenuti in un prodotto cosmetico), sia per scoprire quali sostanze applichiamo sulla pelle o sui capelli (o che si trovano nei detergenti per la casa) sia per conoscere le materie prime di origine vegetale da fonte rinnovabile.
Una quindicina di anni fa, tra gli appassionati di cosmesi, esplose la mania dell’Inci. Se una sostanza contenuta in un prodotto era da bollino ‘rosso’ (quindi indicata nel Biodizionario come potenzialmente rischiosa per la pelle o per il pianeta) non c’era margine di discussione. Quel prodotto non andava utilizzato. Oggi le cose sono un po’ diverse. “Prima – racconta Barbara Righini – mi chiedevano cosa pensassi di un determinato ingrediente. Oggi, invece, mi chiedono cosa penso del prodotto”. “Quando scelgo cosa proporre nel mio shop – spiega – faccio due valutazioni. La prima riguarda il rapporto qualità/prezzo: se un prodotto costa 2 euro, difficilmente sarà uguale a uno da 50. Ma devo chiedermi se quello che costa 50 li vale oppure no. Inoltre, controllo sempre l’Inci, ma non sono integralista, perché è necessario guardare la formula nel suo complesso e capire se un prodotto funziona ed è piacevole da utilizzare”.
Allora quale sarà la strada del futuro? “Credo che la cosmesi – conclude – andrà sempre di più verso una ‘ecologizzazione’, anche da parte delle multinazionali, che alla fine sono quelle che tirano le fila e che, grazie alla loro potenza di fuoco, sono in grado di sfornare continuamente nuove molecole. Cosa farò io? Non lo so, non è detto che la mia avventura con lo shop e con il portale non si trasformi. La comunicazione di oggi è diventata in gran parte acritica e servono spazi diversi di condivisione”