La risposta ai cambiamenti climatici passa per città galleggianti. Almeno questo sembra essere l’orientamento degli esperti, e la politica inizia a ragionarci. Gli urbanisti ritengono che “interi distretti galleggianti potrebbero sia migliorare la crisi abitativa che affligge molte città costiere, come Amsterdam o Barcellona, sia contribuire ad attenuare le crisi alluvionali”, recita un documento di lavoro redatto dal centro ricerche del Parlamento europeo. Un contributo al dibattito che i vari gruppi porteranno avanti da qui in poi, per cercare di trovare politiche capaci di dare una risposta ad un fenomeno che si considera ormai come inarrestabile.
Ormai l’innalzamento del livello del mare rende le città costiere costantemente minacciate. Si stima che circa 250 milioni di persone vivano attualmente su terreni al di sotto dei livelli di inondazione annuali previsti, spesso in città costiere come Londra, Lagos, Mumbai o Shanghai. Un numero che potrebbe salire a 630 milioni entro la fine del secolo. Ma è certo che solo negli ultimi anni, da l 2018, circa 318 milioni di persone sono state sfollate a causa di disastri climatici. Per rispondere a tutto questo ripensare la vita di tutti i giorni sembra essere la via obbligata.
Un sistema galleggiante consentirebbe alle costruzioni di adattarsi alle onde, alle maree e persino alle tempeste, compresi gli uragani. Invece di essere sommerse, si troverebbero sempre sopra il livello dell’acqua. Si potrebbe anche concepire una nuova modalità di pianificazione urbana, fatta di stadi, centri sportivi, scuole e parchi in grado di adattarsi alla nuova realtà.
Ma sulla sfondo di questo ragionamento non c’è solo il problema dell’acqua alta. “Gli effetti combinati del cambiamento climatico”, del cedimento del suolo e dell’urbanizzazione accelerata “potrebbero costringerci a ripensare l’uso delle superfici d’acqua sulla Terra come potenziali aree di insediamento, come alternativa a una superficie terrestre resa inabitabile dalla sovrappopolazione e dalle catastrofi climatiche”.
Non mancano però incognite, a partire dal costo di questa rivoluzione futuristica. “Un rischio è il costo stesso”. Se vivere sull’acqua continua a essere troppo costoso per la stragrande maggioranza della popolazione, queste città potrebbero non riuscire a fornire parte della soluzione al problema. In secondo luogo, sebbene le città sull’acqua possano servire come risposta ai cambiamenti climatici e la tecnologia associata sia “potenzialmente” sostenibile, il loro impatto sul clima potrebbe essere comunque non marginale. Per stabilizzare gli edifici sottomarini, vengono attualmente utilizzate enormi quantità di calcestruzzo, poiché il calcestruzzo sposta l’acqua in modo molto efficace. Tuttavia, la produzione di calcestruzzo oggi contribuisce all’8 % delle emissioni globali di CO2 e la produzione di calcestruzzo ha creato una competizione internazionale per la sabbia, il cui mercato sta attualmente raggiungendo prezzi record.
C’è poi l’aspetto legale. Serve, in sostanza, “una legislazione chiara per garantire in futuro la parità di accesso agli spazi abitativi sull’acqua”. Lo status giuridico delle città galleggianti è una sfida “difficile” che richiede la revisione di accordi internazionali consolidati.