Cop16, accordo al fotofinish a Roma: piano da 200 mld dollari a difesa della natura

Permangono le divisioni fra Nord e Sud del mondo: si rinvia infatti al 2028 la decisione di creare un nuovo fondo dedicato,

natura

Quattro mesi dopo il clamoroso fallimento in Colombia, ieri i paesi del mondo hanno raggiunto a Roma un delicato compromesso sul finanziamento della conservazione della natura, evitando per un pelo un nuovo fiasco a difesa della biodiversità. Nel terzo e ultimo giorno della COP16 delle Nazioni Unite sulla biodiversità, i paesi ricchi e quelli in via di sviluppo si sono rassegnati a compromessi reciproci per adottare un piano di lavoro quinquennale, che dovrebbe sbloccare i miliardi necessari per fermare la distruzione della natura e distribuire meglio il denaro ai paesi in via di sviluppo.

Un lungo applauso dei delegati provenienti da circa 150 Paesi ha accolto il colpo di grazia di Susana Muhamad, la Ministra dell’Ambiente colombiana che ha presieduto questa 16a conferenza della Convenzione sulla diversità biologica (CBD). “I nostri sforzi dimostrano che il multilateralismo può essere una fonte di speranza in un periodo di incertezza geopolitica ad esso associato”, ha affermato il ministro canadese dell’Ambiente, Steven Guilbeault, ai delegati riuniti presso la sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).
Nel frattempo, entro la COP17 del 2026 in Armenia, i paesi hanno adottato anche norme e indicatori affidabili volti a misurare e verificare gli sforzi dell’umanità per salvare la natura. “Annuncio che abbiamo dato braccia, gambe e muscoli” alla tabella di marcia Kunming-Montreal, con la quale i paesi si sono impegnati nel 2022 a raggiungere 23 obiettivi per fermare la distruzione della natura entro il 2030.

L’obiettivo più emblematico è quello di destinare il 30% delle terre e dei mari a aree protette (rispetto al 17% e all’8% attuali, secondo le Nazioni Unite). Per finanziare questa strategia, i paesi devono aumentare la spesa per la protezione della natura a 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, di cui 30 miliardi di dollari devono essere forniti dai paesi sviluppati ai paesi poveri (rispetto a circa 15 miliardi di dollari nel 2022).

L’accordo raggiunto a Roma rinvia al 2028, in occasione della COP18, la decisione di creare un nuovo fondo dedicato, posto sotto l’autorità della CBD, come richiesto con forza dai paesi africani. Oppure se gli strumenti esistenti, come il Fondo mondiale per l’ambiente, possano essere riformati per renderli più accessibili ed equi per i paesi in via di sviluppo. I paesi ricchi – guidati dall’Unione Europea, dal Giappone e dal Canada, in assenza degli Stati Uniti, che non hanno firmato la Convenzione – sono contrari alla moltiplicazione dei fondi, temendo una frammentazione degli aiuti allo sviluppo. Chiedono inoltre che venga ampliata la lista dei paesi tenuti a fornire aiuti allo sviluppo, includendo anche potenze emergenti come la Cina. La questione sarà affrontata nel piano quinquennale adottato a Roma.