Alluvione nelle Marche: “Non sfortuna, ma abbandono del territorio”

La situazione, ammette Piero Farabollini, presidente dell'ordine dei Geologi della Regione, è legata a stretto giro ai cambiamenti climatici che stanno modificando il regime delle precipitazioni

inondazione

La tragedia nelle Marche non è stata sfortuna, ma abbandono del territorio. La denuncia arriva da Piero Farabollini, presidente dell’ordine dei Geologi della Regione, che in un’intervista a GEA parla di manutenzione lasciata a metà e segnali inascoltati.

Il fiume Misa aveva già rotto gli argini nel 2014 e, in quella occasione, erano state individuate opere per mitigare l’alluvionamento di Senigallia. Ma “non tutte sono state realizzate“, rivela il geologo, eppure, commenta “otto anni di tempo sarebbero dovuti essere congrui per mettere in sicurezza la città e il fiume“.

La situazione, ammette, è legata a stretto giro ai cambiamenti climatici che stanno modificando il regime delle precipitazioni. In poche ore, su un’area molto limitata, è caduta la metà della pioggia che dovrebbe cadere in un anno intero: “Mentre prima avevamo una precipitazione media annua nelle Marche, in zona costiera, di 800 millimetri e nelle interne di 1200 millimetri, nell’ultimo evento sono caduti 420 millimetri di pioggia in poche ore“.

Il Paese non è pronto a smaltire questo surplus di acqua che arriva. Quindi, insiste, “dobbiamo ragionare in termini di adattamento climatico, tema che finora ha avuto poca presa sul territorio, dobbiamo fare una manutenzione seria“. Dopo un’estate a combattere con il problema dei fiumi in secca, una pioggia eccezionale basta a far esondare il fiume: “Qualcosa non torna, significa che la manutenzione del territorio è stata completamente abbandonata – afferma Farabollini -. In tempi di pace dobbiamo realizzare quelle opere di mitigazione per far sì che nel momento in cui arriva l’evento forte siamo in grado di resistere senza danni“.

Per evitare nuovi disastri, precisa, si dovrebbero risistemare gli argini fluviali, allargarli, pulire gli alberi rimuovendo la vegetazione che occupa la zona che dovrebbe essere occupata dall’acqua, spostare il materiale litoide (i ciottoli fluviali) perché l’acqua defluisca. “In un contesto urbanizzato non è sempre sufficiente allargare l’argine – spiega il geologo -, ma vanno fatte le opere di canalizzazione, le arcate dei ponti vanno tenute pulite e devono essere dimensionate per far defluire una piena forte e improvvisa, questo va ripensato per le nostre città“. La situazione oggi è “drammatica” afferma, ma in passato, però, “ci sono stati dei campanelli di allarme, siamo stati in una condizione di quasi tracimazione del Misa negli anni scorsi“, è l’accusa. “Noi spesso ci dimentichiamo il pericolo passato. Serve tantissimo tempo per manutenere il territorio, occorre accortezza, bisogna decidere bene dove si va a costruire e cosa realizzare. Pensiamo a quello che è successo a luglio in Germania – conclude – il fiume Inde si è ripreso tutto quello che era stato urbanizzato“.