Il cambiamento climatico incide in modo diverso sulle diverse fasce di reddito della popolazione: in particolare, siccità e precipitazioni estreme sono dannose soprattutto per le persone più povere. Questo è uno dei principali risultati dello studio appena pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), curato da ricercatori e ricercatrici dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna e di EMbeDS (Economics and Management in the era of Data Science), Dipartimento di Eccellenza della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Combinando 40 anni di dati su variabili climatiche e di disuguaglianza di reddito per oltre 100 Paesi, lo studio dimostra che le anomalie di precipitazione hanno aumentato le disuguaglianze di reddito. “Gli impatti sono notevolmente più forti nei Paesi che dipendono largamente dal settore agricolo, fino a 35 volte superiori se li compariamo con un Paese sviluppato. In queste aree, le persone meno abbienti spesso lavorano nel settore primario e la loro sussistenza dipende dalle piogge”, sottolinea Elisa Palagi, autrice dello studio e ricercatrice dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna. “Quello che è più preoccupante – aggiunge – è che le economie più esposte a questi shock climatici, come ad esempio quelle di molti paesi sub-sahariani, sono anche quelle che partono da livelli di disuguaglianza particolarmente elevati”.
“Piove sul bagnato: molto probabilmente il cambiamento climatico acuirà le disuguaglianze di reddito nel prossimo futuro”, continua Matteo Coronese, autore dello studio e ricercatore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna. Le proiezioni non soltanto indicano che l’86% dei Paesi nel mondo diventerà più povero a causa del cambiamento climatico, ma anche che le disparità di reddito aumenteranno. Nel peggiore degli scenari, spiega Coronese, i Paesi che dipendono fortemente dall’agricoltura “vedranno un aumento del 45% della disuguaglianza di reddito, esclusivamente come conseguenza di anomalie di precipitazione. Se consideriamo anche le anomalie di temperatura, l’aumento atteso arriva al 78%”.
Francesco Lamperti, autore dello studio, docente dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna ed economista presso RFF-CMCC (Resources For the Future – Centro Euro-Mediteranneo sui Cambiamenti Climatici) European Institute on the Economics and the Environment, specifica che “anche tenendo a mente che le proiezioni climatiche sono caratterizzate da elevata incertezza, le prospettive sono saldamente negative. Ad esempio, nell’Africa Sub-Sahariana lo scenario più pessimista indica che la quota di reddito guadagnata dal 50% più povero della popolazione diminuirà di più del 10% come conseguenza di alterazioni nelle precipitazioni, mentre scenari ottimistici indicano effetti positivi molto piccoli. Inoltre, vi sono specifiche aree del mondo, come l’Europa, dove gli impatti proiettati sono positivi per alcuni Paesi e negativi nelle economie confinanti. Questo porterebbe a un aumento delle disparità regionali”.
“I nostri risultati sottolineano l’urgente esigenza di politiche di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico, combinate con interventi mirati a limitare le disuguaglianze e a favorire lo sviluppo economico, in particolare nei Paesi più esposti”, commenta Andrea Roventini, autore dello studio e docente dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna e Observatoire Français des Conjonctures Économiques, Sciences Po (Francia). “Questo mix di politiche – conclude – potrebbe attenuare gli impatti diretti del cambiamento climatico, incrementare il benessere della popolazione, ridurre disparità esistenti e, allo stesso tempo, garantire una crescita sostenibile”.