Riciclare di più, pagare di meno e tutelare l’ambiente. Nel 2021 l’Italia ha versato al bilancio dell’Unione Europea oltre 744 milioni di euro per la quantità di rifiuti che il Paese non è riuscito a riciclare, con evidenti passi in avanti da fare non solo sulla questione del riciclo, ma soprattutto sulla produzione ancora molto alta di materiale plastico. La plastic tax sarebbe già pronta, ma si teme un’ulteriore proroga oltre il primo gennaio 2023, che renderebbe ancora più difficile l’obiettivo di diminuire l’impatto di questa fonte di spreco e di minaccia per l’ambiente.
Il contributo Ue sulla risorsa propria basata sulla plastica è proporzionale alla quantità di rifiuti di imballaggio non riciclati, moltiplicata per 0,8 euro al chilo. Come sottolineano fonti della Commissione Ue, “non si tratta di una tassa, ma di un contributo che gli Stati membri versano al bilancio dell’Ue“, applicato a partire dal primo gennaio 2021 e da intendersi “un incentivo a ridurre i rifiuti di imballaggio in plastica“: alla base c’è la volontà di “allineare meglio il bilancio dell’Ue alle priorità dell’Unione, in questo caso la transizione verso un’economia circolare“. Lo scorso anno l’Italia è stata il terzo Paese membro Ue per importo più alto versato, dietro a Germania (1,4 miliardi) e Francia (1,2 miliardi): né Berlino né Parigi hanno ottenuto la riduzione forfettaria che invece è spettata a Roma, il cui contributo lordo si attestava a 928 milioni di euro. Questi tre Stati insieme hanno contribuito da soli al 57% di tutte le risorse proprie dell’Unione provenienti dai rifiuti di imballaggio di plastica (complessivamente 5,8 miliardi di euro).
Stando ai dati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, lo scorso anno l’Italia non è riuscita a riciclare 1,16 milioni di tonnellate di imballaggi di plastica, in leggera diminuzione rispetto al 2019, quando erano 1,27 milioni. Due anni fa il Paese produceva 2,31 tonnellate di rifiuti plastici (38,75 chili pro capite, il settimo peggiore dietro a Irlanda, Estonia, Lussemburgo, Portogallo, Danimarca e Germania) e allo stesso tempo ne riciclava un milione, ovvero il 45% (17,46 chili pro capite, il quinto Paese peggiore dopo Lituania, Spagna, Irlanda ed Estonia). Tuttavia, per quanto riguarda il tasso di riciclo la media Ue è inferiore a quella italiana (40%), mentre il Paese più virtuoso – la Lituania – è distante 25 punti percentuali.
Uno strumento per migliorare l’impatto quantomeno sulla quantità di rifiuti prodotti potrebbe essere proprio la plastic tax, la tassa del valore fisso di 0,45 centesimi per ogni chilo venduto di prodotti di plastica monouso (i cosiddetti Macsi), utilizzati per il contenimento, la protezione, la manipolazione o la consegna di merci e alimentari e che non sono stati progettati per essere riutilizzati durante il loro ciclo di vita. L’imposta era prevista come attuazione della Direttiva Ue del 5 giugno 2019 sulla “riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente“, ma la sua entrata in vigore prevista per il primo luglio 2020 è stata posticipata tre volte. “Per impostazione, non è previsto alcuno strumento che consenta agli Stati membri di richiedere un contributo sui rifiuti di imballaggio in plastica non riciclati agli attori a livello nazionale“, precisano le fonti Ue sulla plastic tax, richiamandosi al fatto che, secondo il diritto comunitario, spetta a ciascuno Stato membro definire come recepire una direttiva nella legislazione nazionale, attraverso disposizioni allineate con gli obiettivi della direttiva stessa.