Industrie, stazioni di servizio dismesse e impianti di trattamento rifiuti sono i principali responsabili dell’inquinamento del suolo. Lo sa bene la Toscana che deve fare i conti con quasi 5000 siti da bonificare. Nello specifico – spiega Arpa Toscana anticipando alcune cifre che saranno riportate nell’Annuario 2022 dei dati ambientali in pubblicazione in autunno – a marzo 2022 sono 4.883 i siti interessati da procedimenti di bonifica e la superficie di suolo, relativa a questi procedimenti, è pari a 18.316 ettari, per lo più (13.404 ettari) connessa ad attività produttive. I procedimenti di bonifica attivi, ovvero in corso di svolgimento, sono 2.176, mentre quelli chiusi, cioè che hanno concluso l’iter, risultano 499.
Dai dati ambientali ricavabili dalla banca dati, emerge che Firenze è la provincia con il maggiore numero di siti in cui sono in corso procedimenti (1.356), seguita da Livorno con 492; Prato con 159 siti è invece la provincia con il minor numero.
Se si guarda, invece, agli ettari di suolo interessati da procedimenti di bonifica, l’ordine cambia: la provincia di Livorno è quella maggiormente interessata, con 6.470,43 ettari, seguita dalla provincia di Massa e Carrara con 3.456,82 e da quella di Grosseto con 3.280,91 ettari. Queste estensioni, spiega Arpa, sono dovute alle aree perimetrate come Siti di interesse nazionale (Sin) di Livorno, di Piombino e di Massa Carrara, divenute oggi, in parte, di competenza regionale a seguito dei recenti decreti di deperimetrazione (Sir).
“Al fine di dare un ordine di grandezza delle dimensioni dei siti coinvolti da procedimento bonifica – spiega Arpa -, prendiamo come esempio un campo da calcio regolare, che ha una dimensione di 0,7 ettari. Nella provincia di Arezzo, dove i procedimenti di bonifica riguardano una superficie di suolo circa 1.605 ettari, sarebbe interessati l’equivalente di circa 2.300 campi da calcio regolari”.
Infine l’Agenzia per l’ambiente spiega quali sono le tipologie di attività interessate da procedimento di bonifica. Le attività industriali rappresentano il 35,5% del totale delle aree in via di bonifica, i distributori di carburante il 20,7%; gli impianti di gestione e smaltimento rifiuti il 13,5%, mentre il 18,5% è rappresentato da altre attività.
I vecchi distributori dismessi dunque rappresentano un caso su cinque nelle bonifiche del suolo. Il processo di ammodernamento e razionalizzazione della rete italiana di distribuzione dei carburanti, caratterizzata nel passato dalla presenza diffusa di punti vendita, secondo recenti dati Ispra, ha dato luogo al 20% circa dei siti potenzialmente contaminati del territorio nazionale. Assopetroli, in base al ddl Concorrenza del 2016, aveva stimato la chiusura di circa 3.000 piccoli impianti con la dismissione di circa 10.000 serbatoi e il probabile avvio di numerosi procedimenti ambientali. La numerosità degli interventi, la collocazione dei siti spesso posizionati in centri abitati e la natura dei contaminanti presenti nei prodotti petroliferi, ha reso necessaria una disciplina mirata e semplificata finalizzata alla gestione dei procedimenti di bonifica: il decreto ministeriale numero 31 del 12 febbraio 2015.
In base a questo testo sono state infatti introdotte le concentrazioni delle soglie di contaminazione (Csc) per gli additivi delle benzine, come le MTBE – ETBE e piombo tetraetile. Le agenzie per l’ambiente (Arpa) possono inoltre richiedere indagini in presenza di fenomeni di contaminazione indotta come ad esempio la mobilizzazione di metalli pesanti. In più, nei siti con attività di piccola manutenzione meccanica o assimilabili devono essere ricercati, nei suoli e nelle acque sotterranee, anche composti clorurati come cloruro di vinile, dicloroetano, tricloroetilene e dicloroetilene.