La maglia rosa può ancora aspettare, l’Italia rimane tra i Paesi membri dell’Unione europea più in difficoltà per quanto riguarda il numero di procedure d’infrazione avviate dalla Commissione. “Negli ultimi tre anni le procedure di infrazione a carico del nostro Paese sono passate da 120 a 62 (l’Italia era la maglia nera d’Europa, adesso è la maglia rosa)“. Quanto sostenuto nel programma elettorale del Partito Democratico, in vista del voto del 25 settembre, è parzialmente vero: le violazioni degli obblighi derivanti dal diritto comunitario sono sensibilmente diminuite dal 2019, ma la maglia nera è ancora dell’Italia, insieme ad altri sette Paesi membri.
Secondo i dati riportati dall’esecutivo comunitario, l’Italia ha attualmente 85 procedure d’infrazione a carico, tra attive e sentenze di condanna già emesse. Se la media europea – tolte le 27 ancora pendenti nei confronti del Regno Unito – è di 71 procedure d’infrazione avviate per Stato membro, in 14 rimangono sotto questa asticella (Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Slovacchia e Svezia), con i record positivi registrati da Danimarca (30), Estonia (44) e Finlandia (47). Sette Paesi fanno peggio dell’Italia: Portogallo (87), Bulgaria (88), Polonia e Repubblica Ceca (95), Belgio (99), Grecia e Spagna (105). E’ comunque innegabile che negli ultimi tre anni l’Italia abbia iniziato uno sprint per allinearsi ai richiami della Commissione, passando da 120 procedure d’infrazione nel 2019 a 69 a oggi attive (escluse le 16 sentenze di condanna).
Analizzando i settori in cui il Paese commette più infrazioni degli obblighi derivanti dal diritto comunitario, quasi un terzo è rappresentato da ambiente, energia e agricoltura (26) e in base al caso specifico varia anche lo stadio della procedura (messa in mora, parere motivato, sentenza). Attualmente, al primo stadio si trovano le infrazioni sul mancato completamento della designazione dei siti della rete Natura 2000, sul rispetto dei valori-limite sul PM2,5, sulle discariche di rifiuti e sulla violazione della Direttiva Habitat. Pareri motivati sono stati emessi dalla Commissione sulla prevenzione della diffusione delle specie esotiche invasive, sul trattamento delle acque reflue urbane, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e sui rifiuti radioattivi. Tra le 16 sentenze di condanna emanate dalla Corte di Giustizia dell’Ue vanno invece ricordate quelle sull’emergenza rifiuti in Campania (2015), sulla diffusione del batterio Xylella Fastidiosa (2019), sul superamento “sistematico e in modo continuato” dal 2010 al 2018 dei valori-limite sul biossido di azoto NO2 (2020) e del valore-limite di PM10 (2020).