La cura del Pianeta passa anche attraverso la tavola. Lo dicono gli studi scientifici, le organizzazioni internazionali come la Food and Agriculture Organization (FAO), lo dice la Commissione Europea con la strategia Farm to Fork e anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU): un’alimentazione prevalentemente vegetale fa bene alla salute e alla Terra. Se è chiaro più o meno a tutti che le diete ricche di proteine animali aumentano il rischio di sviluppare patologie come obesità, diabete, alcuni tipi di tumore e problemi cardiocircolatori, è un po’ meno evidente che l’industria della carne ha un forte impatto sull’ambiente. Denise Filippin, biologa nutrizionista e membro della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana (SSNV) si smarca dall’”approccio ideologico” di cui spesso è accusato chi ha scelto un’alimentazione veg e spiega: “Con le nuove tecnologie e le conoscenze scientifiche l’efficienza degli allevamenti si può migliorare ben poco, se confrontiamo la sostenibilità della carne rispetto a quella delle fonti proteiche vegetali non c’è comunque paragone. Considerando gli animali come macchine che trasformano vegetali in proteine, anche selezionando le razze, i mangimi e gli integratori, come d’altra parte è stato fatto negli ultimi decenni, la resa è molto inferiore a quella dei legumi o altre fonti proteiche vegetali”.
“Il nostro approccio – spiega – non è né ideologico né fazioso, ma si basa su dati scientifici. Infiniti studi mostrano che incentivare la produzione e il consumo di alimenti vegetali e diminuire quella di carne e latticini fa bene alla salute e all’ambiente”. Secondo il rapporto ‘FaoStat Analytical Brief 2021’ (2019), la zootecnia è responsabile del 51,4% delle emissioni derivanti dall’attività agricola e, spiega Filippin “del 18% di tutte le emissioni globali, un dato simile a quello dell’industria”. Il riferimento non è soltanto ai gas serra, ma anche ad altri inquinanti, come ad esempio i liquami degli animali che entrano nelle falde acquifere. Ma l’impatto dell’industria della carne incide anche su due altri aspetti. Il primo è quello dello spreco di risorse. “Nel 2012 la FAO – spiega la biologa nutrizionista – ha evidenziato come per una persona che segue un’alimentazione vegetariana siano necessari 500 mq di terreno per il suo sostentamento annuale. Chi ha, invece, una dieta tipica occidentale (che prevede quindi il consumo di carne) ha bisogno di 4000 mq”.
Evidente, secondo Filippin, anche il legame tra allevamenti e consumo di acqua. “La zootecnia consuma moltissima risorsa idrica per produrre mangimi, per la pulizia delle stalle, per la gestione degli animali. Uno studio dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti (EPA) ha stimato che per produrre un solo hamburger sia necessaria la stessa quantità di acqua che serve per fare 62 docce. È chiaro che va fatta una riflessione legata alle politiche di risparmio idrico”.
Eppure anche l’agricoltura, specie quella intensiva, non è sempre innocua. Il Wwf nella ricerca ‘Mapping the European Soy Supply Chain’ stima che il 75% della soia prodotta nel mondo (340 milioni di tonnellate) è destinato alla produzione di mangimi ed entro il 2050 potrebbe causare la distruzione di intere foreste in Sud America. “La riduzione dei pesticidi e degli inquinanti è fondamentale – spiega Filippin – Nel caso della soia, il 90% della produzione mondiale avviene in modo intensivo. Coltivazioni che servono a nutrire prevalentemente gli animali e solo in piccola parte uomini e donne. Nel caso dei cereali, il 70% della produzione finisce all’industria dei mangimi. È chiaro che con una dieta a prevalenza vegetale si libererebbero aree coltivabili in modo meno intensivo”.
Ma è davvero possibile immaginare un futuro vegetariano per tutti? “Non sarebbe un processo rapido – dice la biologa – che avviene dall’oggi al domani, perché le industrie dovrebbero adeguarsi e studiare nuovi mercati, visto che il cibo è la necessità primaria dell’uomo. Potrebbero liberarsi spazi per la produzione di vegetali, dai legumi ai cereali. Chi ha un’azienda di bovini da latte, ad esempio, potrebbe destinare la soia utilizzata per i mangimi alla produzione di bevande vegetali o di tofu. È un settore promettente per il futuro e diverse aziende zootecniche hanno riconvertito la loro attività in questa direzione”.
Cambiare abitudini è possibile, “non è necessario farlo in modo graduale, si può fare dall’oggi al domani senza temere svantaggi per la salute. Sappiamo ormai tutti che, se fatta con criterio, una dieta vegetariana o vegana non solo non è dannosa per la salute, ma fa anche molto bene. Chi preferisce, può anche farlo a piccoli passi, magari dedicando qualche pasto alla settimana alla dieta veg. Possiamo aumentare il consumo di legumi, rielaborare alimenti semplici – come i fagioli – per trasformarli in polpette o burger, sperimentare nuove erbe aromatiche e spezie”.
Insomma, conclude Filippin, “ci vuole un approccio sereno per affrontare il cambiamento. Anche iniziare con la riduzione della quantità di carne consumata può migliorare l’impatto sull’ambiente, ma è importante averne coscienza, le persone devono essere informate. Il rischio, altrimenti, è che molto presto saremmo costretti a fare una scelta obbligata per salvare il pianeta e avere cibo a sufficienza”.