Quando accadono fatti come quello dell’incendio alla discarica di Malagrotta, il primo pensiero che salta in mente, legato al pericolo per l’ambiente e alla salute pubblica, è la diossina. Questo composto, però, non è il primo aspetto che dovrebbe preoccupare. “Innanzitutto si dovrebbe parlare di diossine, e non di diossina, perché parliamo di 210 composti“, spiega a GEA Ettore Guerriero, ricercatore dell’istituto inquinamento atmosferico del Cnr. Le diossine, dice, “sono utilizzate come tracciante, ma merita attenzione anche il resto di inquinanti che si sprigionano in un fatto grave come questo. Durante un incendio infatti si sviluppa particolato fine inalabile e nell’aria finiscono anche idrocarburi policiclici aromatici, come il benzo(a)pirene che solitamente viene misurato nelle stazioni di monitoraggio ambientale“. L’alta concentrazione di questi composti, spiega l’esperto, ha un’elevata rilevanza di cancerogenicità. “Il problema però non è tanto inalare questi composti; per rappresentare un rischio la concentrazione dovrebbe essere altissima e l’esposizione prolungata, più preoccupante è, invece, assumerli attraverso gli alimenti”.
A questo punto torna alla mente il disastro di Chernobyl del 1986, quando anche in Italia fu sconsigliato di mangiare verdure a foglia larga e di bere latte.
“Il 95% delle sostanze potenzialmente cancerogene infatti – prosegue Guerriero – viene assunto attraverso l’alimentazione, non attraverso la respirazione. Ricadendo sull’ambiente questi composti si accumulano sulle piante e vengono ingeriti soprattutto da animali che producono grassi che vengono poi mangiati dall’uomo“. Negli animali dunque la concentrazione è molto alta e “ricordiamo che al vertice ci sta il neonato che assume latte materno. Il problema è particolarmente serio ad esempio per gli ovini, più che per i bovini. Gli ovini infatti nella loro dieta assumono il 15% di terra; mangiando erba infatti strappano anche la radice con la terra e la assumono; e se questa è inquinata poi la trasferiscono al loro organismo, al latte che producono e alla carne che poi sarà consumata dall’uomo. Il problema è minore nei bovini che assumono solo il 7% di terra”.
Grande attenzione, inoltre, va prestata alle piante a foglia larga, proprio perché in quei casi la superficie su cui si possono posare i composti è più ampia di altre. “Ora ci dirà l’Arpa, attraverso l’analisi dei terreni, quanta superficie è interessata dal potenziale inquinamento – spiega l’esperto – e in quel caso gli ortaggi che insistono su quella superficie non andranno consumati. Se la contaminazione è elevata dovrà essere evitata la raccolta di cucurbitacee come zucchine, cetrioli, meloni e cocomeri. Queste piante infatti riescono ad assorbire le diossine direttamente dalle radici e non dalle foglie. Negli altri casi, un lavaggio delle foglie elimina la presenza di composti potenzialmente cancerogeni, ma le cucurbitacee li assorbono dal terreno”.
Il rischio inquinante è dovuto anche alla presenza, nel materiale bruciato, di composti chimici? “No, tutto quello che brucia produce inquinamento – prosegue Guerriero -. Che si tratta di combustione di una sigaretta, dell’incenso di casa o del caminetto, si formano sempre composti inquinanti. Le plastiche – ma è meglio parlare di polimeri – non fanno la differenza. Chiaramente in quel caso si parla di tonnellate di polimeri, ma comunque, paradossalmente, inquina di più la biomassa”.
Chiudere le finestre serve davvero a ridurre i rischi? “È sicuramente una pratica di buon senso che serve a limitare i danni, ma il particolato è finissimo e chiaramente certe particelle entrano ugualmente. Quelle più grandi, però, vengono bloccate. In casa abbiamo alimenti in cucina, sulla tavola, per non esporli al rischio è quindi giusto seguire le raccomandazioni di Arpa”.
Insomma, questo danno per l’ambiente e la salute ce lo porteremo avanti a lungo? “In questi casi molto dipende dalla fortuna – conclude Guerriero – cioè dalle condizioni meteo. Se questo incendio fosse accaduto in inverno, con un basso rimescolamento dell’aria, i problemi sarebbero stati maggiori e più dilatati nel tempo. Possiamo dire di essere stati fortunati, nel dramma, che sia capitato in estate. La concentrazione massima dei composti inquinanti c’è stata a ridosso dell’evento, ma poi il vento disperderà la nube e la concentrazione di inquinanti si abbasserà”.