Marlisat: progetto Esa per tracciare plastica negli oceani

Attraverso speciali boe in legno dotate di trasmettitori che possono essere intercettati e monitorati

Ogni 60 secondi l’equivalente di un camion carico di plastica entra negli oceani”. Dove finisca tutta questa mole di rifiuti “i ricercatori semplicemente non lo sanno”. L’Agenzia spaziale europea (Esa), ha deciso di rispondere a questa domanda, che affligge scienza e sopratutto ambiente, quello marino. In collaborazione con l’organizzazione francese Collecte Localization Satellites (Cls) ha deciso di realizzare speciali boe in legno, materiale scelto “la massima sostenibilità” ambientale, dotate di trasmettitori che possono essere intercettati e monitorati. In questo modo si può individuare posizione e spostamento delle boe ‘nascoste’ tra i rifiuti che galleggiano nei mari e negli oceani di tutto il mondo.

L’innovativo progetto si chiama ‘Marlisat’, che i responsabili definiscono “una versione hi-tech del lancio di messaggi in bottiglia”. Prototipi di queste boe tracciabili “sono stati dispiegati nelle acque al largo dell’Indonesia, la cui miriade di isole si traduce in alcune delle correnti più complesse e imprevedibili della Terra”, fa sapere l’agenzia dell’Ue. Un primo esperimento che, se tutto va come auspicano esperti e scienziati, potrà essere replicato in futuro. I primi esemplari delle speciali boe sono state rilasciate a fine maggio e tracciate in tempo reale tramite un portale dedicato. Dotati di batterie per una durata di circa 100 giorni, potranno essere seguite e rintracciate fino alle fine di agosto. “I loro risultati aiutano a ottimizzare i parametri del modello di deriva”, assicurano gli esperti dell’Agenzia dell’Ue.

Insieme alle boe di rilevamento, il progetto Marlisat prevede anche l’utilizzo di immagini di osservazione della Terra per rilevare le fonti di plastica e prevedere il movimento dei rifiuti di plastica marini e le aree di accumulo utilizzando un modello di deriva oceanica esistente chiamato Mobidrift, prodotto da Cls (Mobidrfit vuol dire ‘deriva mobile’, dall’unione delle due parole inglesi ‘mobile’ e ‘drfit’). “Il punto di forza di questo progetto è la combinazione di osservazioni satellitari, dati in situ e modelli numerici”, sottolinea Marc Lucas, oceanografo senior di Collecte Localization Satellites.
Soddisfatto anche Peter de Maagt, a capo della sezione Antenne e onde sub-millimetriche dell’Agenzia spaziale europea. “È un privilegio lavorare su progetti che utilizzano lo spazio a beneficio dell’umanità e iniziano ad affrontare il problema dei rifiuti di plastica nei nostri oceani. Il tag fornirà dati preziosi per calibrare i modelli e fornire la verità di base tanto necessaria”.