“Non esiste un Pianeta B“. Nel suo ultimo libro, ‘Vi chiedo in nome di Dio’ (edizioni Piemme), a cura del giornalista argentino dell’agenzia Telàm, Hernan Reyes Alcaide, Papa Francesco cita un famoso slogan dei giovani attivisti ambientali per denunciare le violenze subite dalla Casa comune. La seconda di dieci preghiere che Jorge Mario Bergoglio recita e chiede di recitare, per la pace, la fine della povertà, la custodia delle generazioni future, la fine degli abusi, le pari opportunità.
“Abbiamo vissuto gli ultimi decenni sotto un sistema vorace, che non soltanto ha spinto ai margini dello scarto milioni di esseri umani, ma ha sottoposto la la nostra Madre Terra a danneggiamenti mai visti prima“, scrive il Pontefice che ha scelto il nome del Santo d’Assisi, spiegando al mondo con un solo gesto quale sarebbe stata la linea del suo magistero.
Dal Poverello ha tratto ispirazione per la prima enciclica ambientale della storia della Chiesa, ‘Laudato Si’, e il suo impegno non è mai finito. Nel volume riparla di introdurre il peccato ecologico nel catechismo: “Penso che dovremmo fare questo, perché è doveroso“. L’idea è già stata appoggiata dal Sinodo per la regione panamazzonica, che ha proposto di definire questo peccato come un’azione o un’omissione contro Dio, il prossimo, la comunità e l’ambiente. È qualcosa di cui dovrebbe prendere coscienza non solo la Chiesa: “L’ecocidio è un crimine contro la pace e l’umanità e come tale andrebbe riconosciuto anche dalla comunità internazionale“, è il monito del Papa.
Bergoglio punta il dito direttamente contro i principali responsabili della crisi che siamo vivendo: “Voglio chiedere alle grandi aziende minerarie, petrolifere, forestali, immobiliari e agroalimentari che smettano di distruggere i boschi, le aree umide e le montagne; che smettano di contaminare i fiumi e i mari; che smettano di intossicare i popoli e gli alimenti“. Le prove queste aggressioni “costanti” alla Terra, sottolinea, sono “tangibili, clamorose e alcune rischiano di essere irreversibili se non agiamo subito“: perdita di biodiversità, degradazione ambientale e riscaldamento globale sono solo alcune delle conseguenze inevitabili delle nostre azioni, perché “abbiamo consumato avidamente più risorse della Terra di quanto il pianeta possa sopportare“.
La soluzione sta nel cambiare stili di vita, uscire dalla spirale del consumismo e superare le asimmetrie sociali che questa crisi provoca: “La debacle ambientale a cui assistiamo deve rammentarci che la creazione non è una proprietà di cui possiamo disporre a nostro piacere. Tantomeno è una proprietà di pochi“, scandisce denunciando l'”enorme ingiustizia” subita dai paesi più poveri, “gli umili, coloro che vivono nelle zone costiere in abitazioni precarie, quelli che dipendono dai loro raccolti per alimentarsi o per i quali l’accesso all’acqua è difficoltoso” mentre i paesi più sviluppati “usano e abusano delle nostre risorse“.
La supplica è a una maggiore “solidarietà mondiale“: “È importante che gli effetti della transizione necessaria e urgente non ricadano sui più deboli, né sui paesi meno sviluppati o sui lavoratori. Questa transizione deve condurci a un contratto sociale più giusto, sostenibile e solidale“.
“Per la Casa comune e per i nostri nipoti, le generazioni a cui passeremo il testimone della custodia della creazione, dobbiamo agire ora. È quanto chiedo in nome di Dio. Con la responsabilità che richiede la gravità della situazione, ma con la speranza che non tutto è perduto“.