Aumentano i campioni in cui sono state trovate tracce di pesticidi. Questo il primo dato – sconfortante – che emerge dal dossier ‘Stop pesticidi nel piatto‘ curato da Legambiente in collaborazione con Alce Nero. Al centro dell’indagine, 4.313 campioni di alimenti di origine vegetale e animale (compresi i prodotti derivati da apicoltura di provenienza italiana ed estera): solo il 54,8% del totale risulta senza residui di pesticidi, contro il 63% dell’anno precedente. Il pesticida maggiormente presente è l’Acetamiprid, seguito da Boscalid, Fluidoxonil, Azoxystrobina, Tubeconazolo e Fluopyram.
La categoria ortofrutticola più colpita è, ancora una volta, la frutta, con oltre il 70,3% dei campioni analizzati che presenta uno o più residui. Spiccano i casi dell’uva da tavola, con l’88,3% di campioni che presentano almeno un pesticida (contro l’85,7% dello scorso anno) e le pere: in questo caso, la percentuale sale addirittura al 91,6% e 22 diverse categorie di fitofarmaci rilevate. Per quanto attiene la verdura, invece, il 65,5% dei campioni presi in esame risulta essere senza residui. I peperoni risultano essere i più colpiti, con 38 categorie di fitofarmaci diverse, compreso l’Imidacloprid che è stato revocato dal mercato nel 2020; seguono i pomodori, con il 55% di campioni con almeno un pesticida.
“Dall’analisi dei dati rilevati – ha dichiarato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente – emerge chiaramente la necessità di intraprendere la strada dell’agroecologia con ancora più determinazione e mettendo in atto quanto stabilito dalle direttive europee Farm to fork e Biodiversity 2030”. Gentili ha ricordato inoltre l’approvazione della legge sul bio, da considerare un “importante passo in avanti” ma che impone di passare “dalla teoria alla pratica” affinché quel traguardo non risulti “solo una bandierina ma un patrimonio per l’intero settore”.
Servono dunque “meccanismi incentivanti, a partire dalla messa a disposizione delle risorse; occorre inoltre che vengano applicate in maniera stringente le norme, stando alla larga da eventuali ipotesi di deroghe all’utilizzo di specifici fitofarmaci, come purtroppo sta avvenendo con il Glisofato”. A proposito di quest’ultimo, si tratta dell’erbicida più presente nei campioni dei prodotti trasformati, il 41,4% contiene uno o più residui. In questa categoria di prodotti rientra per esempio il miele: nel 67,5% dei casi non sono stati riscontrati residui. Tra i campioni contaminati si segnala la presenza di due neonicotinoidi: il Thiacloprid (revocato dal mercato essendo stato classificato come interferente endocrino) e l’Acetamiprid ancora permesso ma i cui effetti causano pesanti ripercussioni sulla salute delle api. Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, ha ricordato la richiesta dell’Unione Europa di raggiungere un taglio dell’uso del 62% dei pesticidi entro il 2030. “Il nuovo governo – ha precisato – prosegua nel solco tracciato e permetta davvero, come previsto anche dalla nuova nomenclatura del Ministero, al made in Italy sano e pulito di divenire apripista del cambiamento. Quanto stabilito fino a ora da Pac e Psn non ha permesso di raggiungere pienamente questo obiettivo: Serve pertanto un’accelerazione, soprattutto in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo. I dati sul biologico fanno ben capire come la mancata transizione possa influire negativamente anche sulle buone pratiche: serve andare nella direzione contraria, verso una piena rivoluzione green dal campo alla tavola, a partire dall’approvazione del nuovo Piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. L’ultima stesura risale al 2014, la scadenza al 2019. Dunque è urgente risolvere anche questo nodo“, ha concluso Zampetti.