Il settore zootecnico europeo rappresenta il 38,5 per cento dell’intero comparto agricolo per un valore di 206 miliardi di euro con circa 4 milioni di addetti. Un comparto che ha ridotto le proprie emissioni di oltre il 18 per cento negli ultimi trent’anni e che rappresenta “l’unica attività umana che, oltre a emettere carbonio, contemporaneamente lo sequestra”. Questa la fotografia scattata al Parlamento Europeo durante l’evento di presentazione del libro ‘Meats And Cured Meats: The New Frontiers of Sustainability’, (Franco Angeli editore) scritto da Elisabetta Bernardi, Ettore Capri e Giuseppe Pulina. All’evento, introdotto e promosso dall’eurodeputato di Forza Italia, Salvatore De Meo, Presidente della Commissione Affari Costituzionali e membro della Commissione Agricoltura, e con la partecipazione di Luigi Scordamaglia, Amministratore Delegato di Filiera Italia.
“Oggi il settore zootecnico europeo è al centro della sfida ambientale – ha dichiarato in apertura De Meo – ma la transizione va perseguita in maniera pragmatica, non impositiva e soprattutto non ideologica”. Perché se siamo tutti d’accordo che la sostenibilità è l’obiettivo verso cui tendere, l’eurodeputato azzurro ha rilanciato con decisione l’idea che “la sostenibilità non può avere solo una declinazione ambientale, ma necessariamente anche sociale, produttiva ed economica”. Una transizione verde che non può prescindere dalla zootecnia, “parte di quell’azione che ci serve per raggiungere la neutralità climatica”.
Sugli impatti ambientali del settore si è espresso Giuseppe Pulina, professore di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti all’Università di Sassari e presidente di Carni Sostenibili, organizzazione no profit che riunisce le associazioni dei produttori di carni e salumi italiani con lo scopo di promuovere un consumo consapevole e la produzione sostenibile degli alimenti di origine animale. Il punto è che l’agricoltura è l’unica attività umana che, oltre a emettere carbonio, contemporaneamente lo sequestra. Ecco perché, anche quando si parla di zootecnia, non si deve parlare solamente di emissioni inquinanti, ma di bilancio fra queste e sequestro di carbonio da parte degli agroecosistemi.
Pulina ha suggerito però un ulteriore sviluppo: “In questi anni la comunità scientifica e le istituzioni hanno evidenziato la necessità di introdurre nuove metriche per calcolare le emissioni, capaci di tenere in considerazione la tipologia di gas climalteranti e della loro permanenza in atmosfera”. Un’urgenza fatta presente già nel 1990 dal Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Ipcc), per superare limitazioni e incertezze delle unità di misura utilizzate fino a quel momento. Un team di fisici dell’Università di Oxford ha proposto una revisione radicale, con dei risultati sconvolgenti: “Così ricalcolate, le emissioni dell’intero settore agricolo europeo peserebbero non l’11,8 per cento, o il 4,6 per cento se compensate dai riassorbimenti, del totale, ma diventerebbero addirittura negative”.
La spiegazione risiede nel fatto che per la prima volta i ricercatori di Oxford hanno preso in considerazione la differenza in termini di azione sul riscaldamento globale tra gli inquinanti climatici a vita breve, quale il metano, e gli inquinanti climatici a vita lunga, quale l’anidride carbonica. “Una differenza sostanziale – spiega Pulina – se consideriamo che il metano ha una emivita di circa 10 anni, mentre l’anidride carbonica permane in atmosfera per circa mille anni”.
Ma nelle valutazioni di rischio e di impatto che tengono in piedi il Green Deal europeo, le metriche utilizzate non sono quelle sviluppate ad Oxford. E il rischio è quello denunciato da Filiera Italia e dal suo amministratore delegato, Luigi Scordamaglia: “La risposta alla domanda di sostenibilità non può essere quella di smantellare le attività agricole e delegare ai laboratori la produzione di quello che mangiamo”. Anche perché nel mondo 1,3 miliardi di persone devono esclusivamente il loro sostentamento ad attività legate all’allevamento.
Secondo Scordamaglia Bruxelles sta portando avanti “un attacco violento alla zootecnia”, e in particolare sulla carne artificiale ricorda che “secondo FAO e OMS esistono almeno 53 potenziali pericoli per la nostra salute legati al possibile consumo di carne artificiale”. Perché mancano ancora “gli studi necessari che dicano che il consumo di questo prodotto, addizionato di ormoni, antibiotici e antimicotici necessari per farla crescere, non comporti rischi”.
Rischi che non riguardano gli alimenti di origine animale. La dottoressa Elisabetta Bernardi ne ha evidenziato il valore nell’ambito dell’alimentazione umana: “Se è vero che i prodotti di origine animale apportano solo il 18 per cento delle calorie, essi contribuiscono per il 34 per cento delle proteine e per il 55 per cento degli aminoacidi essenziali”. Inoltre, ha sottolineato Bernardi, l’impronta ecologica – come uso del suolo e come emissioni- degli alimenti di origine animale “è pressoché simile o addirittura inferiore a quella relativa alla produzione di proteine vegetali, a eccezione della soia, che però non è nella tradizione mediterranea”.
Sul tema della sostenibilità degli allevamenti, in particolare quelli italiani, si è soffermato infine Ettore Capri, che ha ricordato come il sistema zootecnico italiano sia un modello avanzato di economia circolare a livello mondiale: oggi, infatti, l’Italia è il quarto produttore al mondo di biogas e secondo in Europa dopo la Germania. Grande rilievo, secondo Capri, ha lo sviluppo di attività di Carbon Farming, “una serie di pratiche agricole volte alla produzione alimentare che nel contempo sono in grado di sequestrare con maggiore efficienza il carbonio atmosferico”.
Le virtù del comparto zootecnico europeo sono sul piatto. Ma la Commissione europea sembra non volersene accorgere: “La più grande preoccupazione – ha sottolineato l’eurodeputato De Meo – è che stiamo esternalizzando l’inquinamento per poi riportare sulle nostre tavole quello che in Europa non si può più fare”.