Buy less, buy smart. In altre parole, acquisti intelligenti che fanno bene a guardaroba e ambiente. Di fronte all’impatto ambientale del settore tessile e abbigliamento, ecco le buone pratiche che aiutano il nostro stile ad essere green. Un documento di lavoro del Parlamento europeo, realizzato per fare il punto della situazione a aiutare i legislatori, punta innanzitutto a un cambio che è sia commerciale, sia culturale. Basta con il ‘fast-fashion’, la pratica delle compere ripetute, continuate, e magari di prodotti di minore qualità. La cosiddetta ‘moda lenta’ (slow fashion) “è un tentativo di convincere i consumatori ad acquistare meno capi di migliore qualità e a conservarli più a lungo”. È questo un modo per ridurre sprechi in tessuto e ridurre un processo produttivo clima-impattante. La filosofia della slow-fashion include il rivolgersi a catene di approvvigionamento affidabili, produzione su piccola scala, tecniche di lavorazione tradizionali, utilizzo di materiali locali e indumenti trans-stagionali. In sintesi, “richiede un cambiamento del modello economico, verso la vendita di meno vestiti”. Non mancano però incognite di tipo economico. Questo modello “potrebbe minacciare” la sopravvivenza economica dei produttori di abbigliamento a meno che anche i consumatori non siano disposti a pagare prezzi più elevati.
Altra pratica ‘green’ della moda quella di una produzione, fin dalle sue fasi embrionali di progettazione, concepita per riuso e riciclo dei materiali. In un’espressione, moda circolare. La moda circolare può “ridurre al minimo gli sprechi e mantenere i materiali all’interno del ciclo di consumo e produzione il più a lungo possibile”, secondo gli analisti del Parlamento europeo. Un suggerimento per i legislatori europei, chiamati a dover prendere decisioni in materia nei prossimi mesi. Per avere una moda che sia veramente circolare, dovrebbero essere realizzati con materie più durevoli, “per resistere a più cicli di vita”, includere materiali riciclabili adattati all’uso previsto e utilizzare stili e design “senza tempo” adatti allo smontaggio e al riciclaggio, ad esempio evitando materiali misti difficili da riciclare. Cerniere, chiusure e altri articoli da cucito devono essere facilmente staccati e devono esserci meno cuciture per facilitare il riciclaggio.
Nel mondo dei social media, dei selfie facili e delle vetrine multimediali, si potrebbe pensare di allestire veri e propri negozi virtuali. Nessun capo da acquistare, ma tanti outfit da sovrapporre alla propria immagine per poter apparire sempre alla moda. Gli esperti del Parlamento europeo non hanno dubbi sul fatto che la moda virtuale possa essere l’ultima frontiera che coniuga desidero di abbigliamento e ambiente. “Potrebbe essere utilizzata dagli utenti dei social media che si sentono spinti ad apparire costantemente con vestiti nuovi”. Ci sono già aziende che stanno già offrendo vestiti digitali, fornendo agli utenti un’immagine di se stessi da utilizzare sui social media, eliminando la necessità di produrre prodotti fisici.
Altra buona pratica, tutta da esplorare, quella della moda istantanea. Niente produzione su scala industriale, solo su misura. Questo tipo di moda “potrebbe ridurre drasticamente gli sprechi”, secondo gli esperti. Ciò grazie “la tecnologia intelligente per adattarsi istantaneamente ai desideri del consumatore”, cambiando ad esempio i colori, riducendo anche la necessità di produrre più versioni dello stesso capo. La moda istantanea potrebbe consentire la produzione su richiesta nel punto vendita, con l’aiuto, ad esempio, di futuri miglioramenti nella stampa 3D, che potrebbero anche riportare nell’Ue la produzione oggi esternalizzata. I consumatori sarebbero in grado di ottenere ciò che vogliono prodotto localmente senza sovrapproduzione.
(photo credits: LEON NEAL / AFP)