I paesi produttori di petrolio e gas più ricchi dovrebbero fermare la produzione entro il 2034 per poter sperare di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, mentre ai più poveri dovrebbe essere concesso un ritardo. È quanto afferma uno studio di un consorzio scientifico britannico pubblicato martedì. Il carbone, il petrolio e il gas sono tra le principali fonti di emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale, che l’accordo di Parigi mira a limitare a +1,5°C rispetto all’era preindustriale. Un’uscita dai combustibili fossili è quindi una delle principali leve per limitare le conseguenze già visibili del cambiamento climatico, come siccità, tempeste e inondazioni devastanti. Ma questa uscita non ha le stesse conseguenze economiche per i vari paesi produttori, sottolinea lo studio del Tyndall Centre for Climate Change, un consorzio britannico che comprende soprattutto università. Concentrandosi sui settori del petrolio e del gas, i ricercatori hanno studiato 88 paesi, che rappresentano quasi tutta la produzione mondiale. Per alcuni paesi poveri che rappresentano solo una piccola percentuale della produzione globale, le entrate derivanti dai combustibili fossili danno un contributo molto grande alla loro ricchezza nazionale complessiva, sottolineano i ricercatori.
TRANSIZIONE EQUA
D’altra parte, alcuni grandi Paesi produttori di petrolio resterebbero ricchi anche se cessassero l’estrazione: gli Stati Uniti, il più grande produttore mondiale di petrolio, il cui settore petrolifero e del gas contribuisce all’8% del Pil, manterrebbero la loro ricchezza pro capite quasi invariata, a circa 60.000 dollari, contro i 63.500 dollari attuali. Gli autori hanno quindi cercato di stabilire un calendario per un’uscita “equa” secondo le necessità e le capacità dei vari paesi “di finanziare una transizione equa” grazie al livello del loro Pil, che non è “dipendente” dal petrolio e dal gas. “Abbiamo calcolato le date finali delle emissioni corrispondenti agli obiettivi di temperatura dell’accordo di Parigi. Abbiamo scoperto che i paesi più ricchi devono raggiungere la produzione zero di petrolio e gas entro il 2034”, ha detto a Afp Kevin Anderson, professore dell’Università di Manchester e autore principale dello studio.
LA ROAD MAP
Questi 19 paesi – tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Norvegia e gli Emirati Arabi Uniti – hanno un Pil medio, esclusi i combustibili fossili, di 50.000 dollari pro capite e rappresentano il 35% della produzione mondiale di petrolio e gas. Un gruppo di 14 paesi con un Pil medio di 28.000 dollari pro capite per i combustibili non fossili dovrebbe cessare la produzione entro il 2039. Questi paesi, tra cui l’Arabia Saudita e il Kuwait, rappresentano il 30% della produzione globale. Seguono 11 paesi con un Pil medio pro capite non fossile di 17.000 dollari, tra cui Cina e Messico, che dovrebbero cessare la produzione (11% del totale mondiale) nel 2043; 19 paesi con un Pil medio pro capite di 10.000 dollari, tra cui l’Iran, che dovrebbero cessare la produzione (13% del totale) nel 2045; e un gruppo di 25 paesi con un Pil medio pro capite di 3.600 dollari, tra cui Iraq, Libia e Angola, che dovrebbero cessare la produzione (11% del totale mondiale) nel 2045.
CONTESTO SOCIOPOLITICO
Ma gli obiettivi di questo nuovo studio non sono irrealistici, dato che l’invasione dell’Ucraina ha evidenziato ancora una volta la dipendenza delle economie globali dai combustibili fossili? “Come ricercatori, questo non è un nostro problema”, dice Kevin Anderson. “Quello che stiamo dando è un calendario per raggiungere l’obiettivo +1,5°C. Sono cambiamenti che le società sceglieranno di fare? È realizzabile nell’attuale contesto politico? Niente lo dice al momento. Nessun paese è vicino agli impegni necessari”. E mentre gli esperti dell’Onu sul clima si riuniscono da lunedì per convalidare il rapporto dell’Ipcc sulle soluzioni per ridurre le emissioni globali, lui è molto critico: “Penso che noi (scienziati) abbiamo abdicato alla nostra responsabilità di dire la verità sulle conseguenze del nostro lavoro sulla politica pubblica. Negli ultimi 20 o 30 anni abbiamo indorato la pillola”. “Come ridurre le emissioni è intrinsecamente, e comprensibilmente, una questione politica, non solo scientifica”, continua il ricercatore, per il quale questo capitolo “non dovrebbe nemmeno far parte del processo Ipcc”.