L’inflazione sembra rallentare. In Italia invece di essere cresciuta dell’8% (giugno), è salita “solo” del 7,9% a luglio. Negli Stati Uniti, sempre nel mese scorso, invece di salire del 9,1% come a giugno, è aumentata “appena” dell’8,5%. In Germania al posto di aumentare del 7,6% (giugno), è balzata di “solamente” il 7,5%. C’è chi sostiene che il picco dei prezzi possa essere stato raggiunto. Le politiche delle banche centrali, ovvero innalzamento dei tassi, magari stanno dando buoni frutti, specialmente negli Usa. Però se andiamo a vedere un sotto-indice dell’inflazione, quello alimentare, spuntano numeri che non fanno presagire nulla di buono.
In questi mesi l’esplosione dei prezzi al consumo è derivata ovviamente dal boom dei prezzi di gas, petrolio e materie prime varie. Le cause le sappiamo: scarsi investimenti energetici, forte domanda dopo il Covid, catene di approvvigionamento da ricostruire, troppa liquidità nel sistema che complice la finanziarizzazione di qualsiasi bene ha favorito incrementi galoppanti dei prezzi, guerra in Ucraina, etc… Fino al blitz russo le aziende faticavano a scaricare i rincari sui consumatori, da marzo è cambiato il mondo. E così arriviamo all’indice dei beni alimentari di prima necessità che fa paura. In Italia segna +10% (come nel 1984), negli Usa +10,9% (record dal 1979) e addirittura in Germania fa +14,8%, un dato mai visto. Pure in Cina, che non è confrontabile con le economie occidentali, sono saliti i prezzi al consumo a causa del boom (+20%) della carne di maiale.
Al supermercato o al mercato sale tutto in Occidente. Rimanendo in casa nostra, i prezzi della frutta fresca o refrigerata aumentano su base annua dell’8,8% – sottolinea Coldiretti – mentre quelli dei vegetali freschi o refrigerati del +12,2% anche per l’andamento climatico anomalo che ha favorito speculazioni come nel caso dell’uva da tavola in Puglia, pagata agli agricoltori 0,50 euro al chilogrammo per poi essere venduta al supermercato a cifre fino a 4 euro. Gli italiani spenderanno complessivamente di più però per pane, pasta e riso, con un esborso aggiuntivo di quasi 115 euro – continua Coldiretti -, poi verseranno più soldi per carne e salumi (+98 euro in più rispetto al 2021) e per le verdure (+81 euro). A seguire latte, formaggi e uova con +71 euro e il pesce con +49 euro, davanti a frutta e oli, burro e grassi.
Il virus dei costi energetici contagia dunque il carrello della spesa, il cui costo non accenna a diminuire anche perché – a sua volta – in campagna più di una azienda agricola su 10 (13%) è in una situazione così critica da pensare alla chiusura, ma ben il 34% degli imprenditori agricoli si trova comunque costretto a lavorare in una condizione di reddito negativo oberati dal +170% dei concimi, +90% dei mangimi e +129% del gasolio. Se mancano prodotti agricoli tuttavia esiste l’export, che però costa di più perché i trasporti sono rincarati.
Alla crisi del gas e dell’energia, che potrebbe mostrare il suo volto peggiore in autunno, si aggiunge così la crisi alimentare. Bollette più care, spesa più cara. Il prossimo governo ha già l’agenda piena.