“La Russia non vede alcuna ragione per estendere l’accordo sul grano ucraino”, ha annunciato il ministro russo degli Esteri Serghei Lavrov. Fra poche settimane dunque non dovrebbe essere prorogata l’intesa sui cereali provenienti dal mar Nero, che era stata firmata lo scorso anno per garantire gli approvvigionamenti nei Paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia ed evitare carestie che potessero spingere i flussi migratori.
Il prezzo del grano, in seguito alla dichiarazione di Mosca, è schizzato di quasi il 10% per poi passare in negativo, anche perché i timori sull’offerta da parte dei principali produttori mondiali si sono attenuati: le piogge nel Midwest degli Stati Uniti hanno cancellato le preoccupazioni che le condizioni di siccità avrebbero danneggiato il raccolto imminente, recuperando le aspettative di forti livelli di produzione nel prossimo anno di commercializzazione. Tutta merce che sostituirà eventualmente quella ucraina in Italia.
Secondo Coldiretti le importazioni di frumento da Kiev sono aumentate del 326% per un quantitativo pari a oltre 115 milioni di chili nel primo trimestre 2023. Una sorta di invasione che ha fatto crollare del 30% le quotazioni del grano tenero nell’ultimo anno, su valori che sono scesi ad appena 26 centesimi al chilo. Prezzi che – secondo Coldiretti – non coprono i costi di produzione.
Solo il 55% dei prodotti agricoli che hanno lasciato l’Ucraina dopo l’accordo hanno raggiunto i Paesi in via di sviluppo, come quelli del Nord Africa e dell’Asia, come emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati del Centro Studi Divulga sui prodotti agricoli partiti da agosto 2022 a febbraio 2023 dai porti di Chornomorsk (36,4% del totale), Yuzhny (35,8%) e Odessa (27,8%). La Cina con ben 5,2 milioni di tonnellate di prodotti agricoli tra grano, mais e olio di girasole, pari al 21,5% sul totale, è il Paese che ha beneficiato di più dell’accordo. La Spagna con 4,1 milioni di tonnellate di prodotti e la Turchia con 2,7 milioni di tonnellate di prodotti salgono comunque sul podio, ma l’Italia con 1,76 milioni di tonnellate si colloca al quarto posto. Nonostante questo i prezzi di pasta e pane sono lievitati, mentre quelli del grano sono precipitati. Una contraddizione che ha smosso il ministero del made in Italy e mister Prezzi, i quali hanno avviato indagini conoscitive per provare a scovare eventuali speculazioni.
I pastai si difendono, ad esempio, sostenendo che i listini erano saliti perché la merce comprata mesi fa aveva quotazioni più elevate di quelle attuali, per tanto i prezzi al consumo dovrebbero calare man mano che i prodotti ‘cari’ saranno esauriti e il fabbisogno sarà rimpiazzato con materia prima più economica. Lo stop al grano ucraino tuttavia rischia di frenare questa tendenza positiva per l’acquirente finale. Il grano nuovo, fa sapere Coldiretti Puglia, è pagato 330 euro a tonnellata, un prezzo che non copre neppure i costi di produzione. Stesso discorso in Sardegna, dove sempre l’associazione territoriale spiega che a queste quotazioni un agricoltore ci perde 200-300 euro a ettaro, mettendo a rischio la continuità aziendale e, in ultima istanza, lo stesso prodotto made in Italy. Servirebbe dunque una remunerazione maggiore per gli agricoltori, in questo caso però non si avrebbe nessun ribasso sul costo finale di pasta o pane. Comunque sia difficilmente i produttori potranno aspirare a incassare di più, dato che la quantità di frumento proveniente dal Nord America abbatterebbe le quotazioni all’ingrosso.
Un cane che si morde la coda, dunque, dove agricoltori e consumatori italiani sembrano essere quelli che pagheranno di più questi ribaltamenti del mercato, nati dall’abolizione dei dazi sul frumento ucraino.