Confcommercio denuncia: 200 contratti pirata per 160.000 lavoratori. Preoccupa il dumping

"Guardiamo con forte preoccupazione al fenomeno", denuncia il presidente, Carlo Sangalli. Che chiede di "rafforzare la collaborazione con i sindacati"

In Italia, il dumping contrattuale sta assumendo proporzioni fuori controllo. Saltano le regole della concorrenza, il lavoro viene svalutato, la disparità tra imprese e lavoratori cresce. L’allarme lo lancia Confcommercio: “Guardiamo con forte preoccupazione al fenomeno“, denuncia il presidente, Carlo Sangalli. Che chiede di “rafforzare la collaborazione con i sindacati”, ma soprattutto di una “maggiore attenzione da parte del Governo”, un impegno concreto per impedire l’applicazione di contratti sottocosto. Le proposte della confederazione sono diverse e vanno da comunicazioni obbligatorie a tutte le sedi istituzionali del contratto applicato alla certificazione della rappresentatività, passando per il potenziamento degli strumenti di vigilanza e monitoraggio e il rafforzamento della bilateralità come strumento di certificazione della qualità contrattuale.

Solo così si può garantire tutela del lavoro e competitività del sistema”, insiste Sangalli. In Italia sono depositati presso il Cnel oltre mille contratti collettivi nazionali di lavoro, ma solo una parte è sottoscritta da organizzazioni realmente rappresentative. Nei soli settori terziario e turismo si contano più di 250 contratti, ma la maggioranza dei lavoratori è coperta da pochi Ccnl, tra cui quelli del Terziario, Distribuzione e Servizi, il più applicato in Italia con circa 2,5 milioni di addetti. I cosiddetti ‘contratti pirata’, firmati da sigle minori, sono però oltre 200 e riguardano circa 160mila dipendenti e oltre 21mila aziende. Tra questi, quelli più rilevanti per numero di addetti includono i contratti Anpit (H024 e H05K) con, rispettivamente, 56.743 e 35.870 dipendenti, e il contratto Cnai (H019) con 15.174 dipendenti. Il fenomeno – in costante crescita soprattutto tra le micro-imprese e le cooperative – è particolarmente diffuso nel terziario (alcuni settori dei servizi, in particolare) e nel turismo, settori strategici per l’economia e per l’occupazione in Italia, creando anche squilibri territoriali perché si concentra nelle aree economicamente più fragili, soprattutto nel Mezzogiorno. Secondo l’analisi, i contratti-pirata riducono significativamente diritti e tutele dei lavoratori, creano dumping salariale e normativo, incentivano concorrenza sleale (le imprese corrette sono penalizzate perché devono competere con chi risparmia sul costo del lavoro). In altre parole, riducono la qualità dell’occupazione basandola, sostanzialmente, sul taglio delle condizioni di lavoro.

Ad esempio, i lavoratori a cui vengono applicati questi contratti si trovano con salari ridotti (fino a quasi 8.000 euro di retribuzione annua lorda in meno rispetto al Ccnl Confcommercio); integrazioni per malattia o infortunio ridotte (al 20-25% contro il 100% del contratto Confcommercio); meno ferie, permessi e scatti di anzianità; indennità ridotte o assenti; orari lunghi senza compensazioni; flessibilità accentuata senza garanzie; carenza o totale assenza di molte forme e strumenti di welfare, come la sanità integrativa e la previdenza complementare. A livello generale, il dumping mina la produttività, indebolisce il tessuto imprenditoriale e frena la crescita del Paese.