E due. Nel giro di pochi giorni i governi dei principali Paesi europei hanno messo mano al portafogli per salvare due grandi gruppi energetici: Edf e Uniper. Edf, colosso francese, è tornato nelle mani dello Stato a un prezzo di 10 miliardi. Più o meno la stessa cifra che l’esecutivo tedesco ha tirato fuori per evitare il crac di Uniper, il principale importatore di gas in Europa. Oltre 20 miliardi dei contribuenti se ne sono andati per colpa dell’impennata dei prezzi dell’oro bianco, amplificata dalla guerra in Ucraina e dagli stop-and-go decisi da Putin sul famigerato North Stream 1, ovvero il tubo che a prezzi contenuti fa funzionare l’industria europea e riscalda principalmente le nostre case.
Non c’è ancora stata una Lehman Brothers dell’energia, ma l’ondata di aziende in crisi ricorda molto le banche dopo il 2008 che non avevano più liquidità e non ottenevano più prestiti per sopravvivere. La banca d’affari newyorkese era saltata dopo lo scoppio della bolla dei mutui subprime, alcuni grandi gruppi energetici europei stanno rischiando grosso a causa di un’altra bolla, anch’essa finanziaria, legata ai prezzi del gas. Già, Putin ha scombussolato il mondo oltre che mandato ko l’Ucraina. Tuttavia, sul fronte prezzi, eravamo già sull’orlo di una crisi di nervi. Le mosse del Cremlino hanno solamente accelerato la resa dei conti.
Il boom del gas non deriva dall’impennata dei prezzi delle forniture. Semmai questi si sono adeguati al boom dei contratti future, protagonisti al Ttf olandese, ovvero la Borsa di riferimento del gas, gestita da una società privata. In un anno i valori dell’oro bianco sono saliti del 650% sulla piazza dei Paesi Bassi. Un’esagerazione rispetto a quello che è accaduto negli ultimi 12 mesi: la ripresa della domanda post Covid e il conflitto in Ucraina sicuramente hanno inciso sulle quotazioni ma sono irrealistici rincari di questo tenore, sottolineando tra l’altro che le forniture di Gazprom, a parte qualche settimana di stop, non hanno subito un blocco duraturo. Pochi operatori, circa 200, hanno invece infiammato i prezzi del gas. Perché? Lunga storia.
Dall’inizio del 2000 in Europa si decise di liberalizzare i mercati delle materie prime, pensando che il mercato facesse risparmiare gli Stati. Una teoria che è andata bene fino a quando il mondo è andato bene, ma alla prima crisi ecco il patatrac. Un patatrac figlio di un’altra politica europea: la lotta alle fonti energetiche fossili, pienamente legittima, senza però un’alternativa (rinnovabili, nucleare, idrogeno, etc…) già pronta. Ciliegina sulla torta: denaro a tassi sotto zero prestato ai big della finanza. Ecco, non appena la domanda, dopo la pandemia, è ripartita, è ricominciata anche quella di energia. Petrolio e gas su tutti. Solo che di quest’ultimo, in Europa, ce n’è sempre meno poiché la ricerca e la produzione è stata rallentata, seguendo le indicazioni di Bruxelles. E così prezzi in salita, scommettendo sul fatto che la domanda non sarebbe stata soddisfatta. Prezzi ovviamente ancora più in salita dopo il blitz di Putin.
Mario Draghi, criticando da sempre questo meccanismo secondo al quale gli Stati e i cittadini pagano il prezzo del gas in base alle operazioni di 200 fondi o hedge fund sul Ttf olandese, ha proposto fin da subito un tetto europeo al prezzo del gas. Per placare la speculazione. Per mesi i partner europei non lo hanno accontentato, e alla fine proprio questi prezzi fuori dal normale hanno mandato gambe all’aria la tedesca Uniper, senza gas e costretta a comprare quello “spot” sul mercato Ttf a peso d’oro. La trama del telefilm che va in onda in Europa è questo: alcuni operatori finanziari si arricchiscono sul Ttf a spese dei contribuenti europei che devono salvare (francesi e tedeschi) società dal disastro. E poi la Ue chiede di ridurre i consumi di gas del 15%… Non si può sterilizzare la Borsa olandese e magari fissare un tetto al prezzo del gas?