
Le banche centrali continuano a muoversi con estrema cautela in un contesto globale segnato da inflazione persistente e prospettive di crescita incerte. Sia la Federal Reserve sia la Banca d’Inghilterra hanno deciso di mantenere invariati i tassi d’interesse, sottolineando la necessità di valutare attentamente gli effetti delle politiche economiche in atto, mentre Norvegia e Svizzera hanno optato per un taglio dei tassi nel tentativo di sostenere le rispettive economie in rallentamento.
La Federal Reserve ha confermato per la quarta riunione consecutiva il tasso sui fondi federali al 4,25%-4,50%, segnalando un atteggiamento cauto in attesa di comprendere l’impatto a medio termine delle iniziative dell’amministrazione Trump, soprattutto in materia di daz, immigrazione e fiscalità. Sebbene l’incertezza sulle prospettive economiche sia leggermente diminuita, la Fed riconosce che i rischi rimangono elevati. Le proiezioni aggiornate mostrano un abbassamento delle stime di crescita del Pil all’1,4% per il 2025 e all’1,6% per il 2026, accompagnato da previsioni d’inflazione più alte rispetto a quelle precedenti: il tasso Pce – i prezzi delle spese personali – è ora visto al 3% nel 2025, in discesa al 2,4% nel 2026 e al 2,1% nel 2027, valori che restano superiori al target del 2%. Nonostante ciò, la Fed continua a prevedere due tagli dei tassi entro fine anno, anche se con un ritmo più contenuto nel medio periodo.
Il presidente Jerome Powell, durante la conferenza stampa, ha ribadito un approccio attendista, sottolineando il rischio che le misure protezionistiche possano riaccendere spinte inflazionistiche mentre la crescita economica rallenta, delineando lo spettro di una possibile stagflazione. Anche la Banca d’Inghilterra ha scelto la stabilità, lasciando il tasso di riferimento al 4,25% con una maggioranza risicata (6 voti a favore contro 3 orientati verso un taglio). La decisione riflette le tensioni che si intrecciano tra un’inflazione ancora elevata e segnali di rallentamento dell’economia britannica. L’istituto ha riconosciuto che l’inflazione dovrebbe mantenersi sui livelli attuali nel breve termine, ma ha anche messo in guardia contro rischi significativi, tra cui l’aumento dei prezzi dell’energia dovuto all’escalation del conflitto in Medio Oriente e le incertezze legate ai dazi proposti dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, la crescita del Pil appare ancora fiacca e il mercato del lavoro mostra segnali di allentamento. In questo contesto, la Banca ha ribadito la necessità di una politica monetaria graduale e prudente, evidenziando quanto sia difficile conciliare il contrasto all’inflazione con il sostegno alla crescita.
Al contrario, in Svizzera e Norvegia si registra un allentamento delle condizioni finanziarie, in risposta al raffreddamento dell’inflazione e a segnali di debolezza dell’attività economica. La Banca nazionale svizzera ha tagliato il tasso di riferimento di 25 punti base portandolo allo 0%, tornando ai livelli di finanziamento più bassi dai tempi dei tassi negativi del 2022. Il calo dei prezzi, con una variazione negativa dello 0,1% a maggio, ha alimentato la decisione, anche perché le nuove previsioni indicano un’inflazione estremamente contenuta nei prossimi anni, mentre le prospettive di crescita del Pil, seppur positive nel primo trimestre grazie a esportazioni anticipate verso gli Stati Uniti, si fanno più modeste per i prossimi trimestri, considerando i dazi. Anche la Norges Bank, il più grande investitore nei mercati finanziari mondiali, ha tagliato i tassi di 25 punti base, portandoli al 4,25%, primo segnale di inversione rispetto alla politica restrittiva adottata nel 2023. L’inflazione ha iniziato a rallentare e, se l’economia seguirà lo scenario previsto, la banca centrale norvegese si dice pronta ad adottare nuovi tagli. Tuttavia, ha precisato che le condizioni monetarie dovranno restare abbastanza restrittive per evitare un ritorno delle pressioni sui prezzi.