Il Consiglio dei Ministri di lunedì scorso ha finalmente varato misure molto importanti per l’industria italiana specie quella ad alto consumo di energia. Le due misure, denominate con anglicismi che ormai caratterizzano anche i provvedimenti di governo, vanno sotto il nome di “gas release” e “power release”.
La prima consiste nell’agevolazione di nuove concessioni per la ricerca e l’estrazione di gas nazionale che dovrebbe essere fornito, a prezzi calmierati, alle imprese energivore.
La seconda consiste nella fornitura da parte del GSE (la struttura pubblica che gestisce il mercato elettrico) per tre anni, sempre alle imprese energivore, di elettricità proveniente da impianti rinnovabili anche in questo caso a prezzi calmierati. Le imprese energivore destinatarie di queste forniture di elettricità si devono però impegnare a costruire impianti per la produzione di energie rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico) che siano capaci di restituire al sistema in 20 anni l’energia elettrica da fonti rinnovabili che è stata fornita alle imprese stesse per i primi tre anni dal GSE.
Si tratta di due misure importanti che le imprese italiane e Confindustria chiedevano da tempo per colmare, almeno parzialmente, il drammatico divario sui prezzi dell’energia che si è creato dopo le decisioni di Francia, Germania e Spagna di sostenere, con varie misure, le loro imprese energivore fornendo loro energia elettrica a 70 euro al MWh. In Italia fino ad oggi le imprese energivore la pagano 120 euro a MWh. Bene quindi l’azione del Governo e in particolare del Ministro Pichetto Frattin che ha proposto e sostenuto queste misure, anche se bisogna essere consapevoli che esse mitigano il gap con gli altri Paesi europei ma non lo colmano del tutto.
Bisognerà nei prossimi mesi adottare altri provvedimenti che allineino completamente il prezzo dell’energia elettrica per le industrie energivore italiane a quello pagato dalle imprese francesi, tedesche e spagnole e ciò per evitare pericolose asimmetrie competitive che danneggerebbero la nostra industria manifatturiera.
Nel testo del decreto energia invece non c’è la proroga del mercato tutelato dell’energia elettrica e del gas di prossima scadenza, proroga che in molti chiedevano anche all’interno della stessa maggioranza di governo.
Il Governo Draghi si era impegnato con l’Europa, in sede di negoziazioni delle regole e delle riforme connesse al PNRR, di superare il mercato tutelato e di affermare definitivamente il principio del libero mercato dell’elettricità e del gas.
Come si è detto c’erano molte richieste di proroga della liberalizzazione completa del mercato. Ma la Meloni non se l’è sentita di accordarla per non venir meno all’impegno a suo tempo assunto dall’Italia con l’Unione Europea di arrivare alla piena concorrenza anche su questo mercato.
L’opposizione di sinistra, e in particolare il PD e il M5S hanno vibratamente protestato contro la fine del mercato protetto, o di maggior tutela come lo si definisce, che causerebbe gravi disagi e danni alle famiglie italiane che su questo mercato si approvvigionavano.
Tale atteggiamento non è corretto per due motivi. Il primo, più sostanziale, è che molte autorevoli ricerche hanno dimostrato che i prezzi praticati sul mercato della maggior tutela quasi sempre erano più alti di quelli che si potevano trovare sul mercato libero dell’elettricità.
Il secondo motivo che non rende credibile la posizione di PD e M5S è che sia il PD che il M5S erano al governo quando Draghi assunse l’impegno nei confronti dell’Europa di porre termine al mercato tutelato dell’energia entro la fine del 2023 e ciò costituì una delle condizioni poste dall’Unione Europea per accordare gli ingentissimi aiuti del PNRR.
Perché a quell’epoca non vennero sollevate obiezioni e oggi invece sì? Misteri, poco seri, della politica italiana.