Intervenuto a Sky TG24, Michele De Michelis, responsabile investimenti di Frame Asset Management, non ha nascosto la sua preoccupazione: “Si inizia a mettere in dubbio la stabilità del sistema. Si mette in dubbio la capacità dell’emittente di rimborsare il debito, sono situazioni che ricordano la crisi del 2008 o quella del 2011”. Il riferimento è alle manovre della Banca Nazionale d’Inghilterra che è intervenuta una seconda volta sul mercato, nel giro di un paio di settimane, per comprare Gilt indicizzati all’inflazione, sui quali si era innescata un’ondata di vendite facendo temere qualcosa di peggio. La stessa Bank of England ha parlato di “stabilità a rischio”. Ecco che allora appare una nuova nube all’orizzonte: una possibile crisi finanziaria che potrebbe essere peggiore della già temuta crisi energetica. Tradotto: il rincaro di gas, petrolio ed elettricità, padre del boom inflazionistico che ha spinto le banche centrali ad alzare i tassi a tutta velocità, potrebbe alla fine generare non solo una recessione ma addirittura un crac stile Lehman Brothers.
L’economia mondiale, scossa da ripetuti shock da oltre anno, si avvicina a una fase di contrazione, che potrebbe interessare diversi paesi avanzati nel 2023, sottolinea l’Fmi in occasione della pubblicazione del suo rapporto sull’economia: “Gli shock di quest’anno rafforzeranno le conseguenze della pandemia che sono state solo parzialmente recuperate. In sintesi, il peggio deve ancora venire e per molti il 2023 sarà vicino a una recessione“, commenta il capo economista del FMI, Pierre -Olivier Gourinchas. Il quale aggiunge: “La crisi energetica, in particolare in Europa, non è uno shock transitorio. Il riallineamento geopolitico delle forniture energetiche in seguito alla guerra della Russia in Ucraina è ampio e permanente. Il 2022 sarà una sfida per l’Europa, ma l’inverno 2023 sarà probabilmente peggio“.
Di fronte a questi shock come hanno reagito le banche centrali? Nonostante ritenessero fino a primavera che fossero temporanei, hanno poi iniziato ad aumentare i tassi a spron battuto. Fino a inizio anno il denaro costava zero. Ora, secondo i proclami dei governatori, bisogna alzarne il costo fino a che l’inflazione (ora tra l’8 e il 10 per cento tra Usa e Ue) non tornerà al 2%. Se però un’auto che viaggia a passo d’uomo in centro abitato improvvisamente accelera e arriva ai 50-60 km/h c’è il rischio di fare incidenti. Tassi alti significa rate più care. Di mutui e di prestiti. Lo scorso fine settimana Bloomberg segnalava pressioni sul mercato immobiliare di mezzo mondo, dall’Australia agli Usa, fino appunto all’Inghilterra dove sono stati sospesi nuovi mutui a chi non è in grado di dimostrare che potrà rimborsare interessi del 6% annui. Un incremento repentino degli interessi accompagnato a un caro-bollette, specie in Europa, rischia di imporre non solo una riduzione forzata dei consumi energetici ma anche un crollo di investimenti e relativi licenziamenti. Rischio di crac aziendali e bancari.
Il problema è che gli Stati, sempre più indebitati specie dopo il Covid, hanno meno margini di manovra contro il caro-energia. La Germania può tirare fuori dal cilindro 200 miliardi poiché il suo rapporto debito/Pil era sceso a 70% in tempi di pace. Il governo britannico, invece, che ha voluto varare un taglio fiscale oltre a un tetto al costo della bolletta sborsando oltre 100 miliardi, ha mandato in tilt il mercato dei titoli di Stato, ovvero del debito pubblico, poichè non aveva fornito coperture finanziarie. A tassi più alti, infatti, gli Stati – Germania esclusa – saranno in grado di coprire questi nuovi debiti? Ecco perché la Bank of England è intervenuta comprando decine di miliardi di Gilt, l’obbligazione pubblica del Regno Unito. E se un Paese iper-indebitato europeo imitasse Londra? Cosa farebbe la Bce?
La palla è dunque in mano alle banche centrali: continuare con una stretta aggressiva sui tassi, i cui effetti si vedranno comunque entro due anni, o rallentare permettendo alle aziende e alle famiglie di adeguarsi alla botta del caro-energia o del caro-carburante? L’unica certezza è che con tassi al 4-5% l’inflazione sarà sconfitta, ma l’economia si spegnerà.