Meno di un anno fa Isagro – azienda novarese leader internazionale nel settore degli agrofarmaci, dai fungicidi agli erbicidi – era diventata di proprietà americana. E ora altre due società, emiliane, protagoniste della transizione ecologica sono passate a fondi e investitori statunitensi: Carlyle ha acquisto la maggioranza della modenese Ocmis, produttore leader di sistemi di irrigazione avanzati per il settore agricolo, mentre la J. M. Huber Corporation ha acquisito il 100% della bolognese Biolchim, leader italiano e uno dei maggiori produttori e distributori mondiali di fertilizzanti speciali.
In un momento storico nel quale l’acqua è tornata a essere al centro del dibattito globale, la società modenese ha attirato l’interesse degli americani perché vanta un’offerta diversificata e di alta qualità che comprende diverse tipologie di prodotti – tra cui rotoloni, sistemi pivot e pompe a motore, commercializzate con quattro diversi brand – presenti in oltre 60 Paesi, famosi per la loro capacità di sprecare acqua il meno possibile.
E mentre si parla di mancanza di fertilizzanti, a causa del conflitto ucraino, si nota invece come il portafoglio prodotti della società bolognese, acquisita dagli statunitensi, si basi su tecnologie proprietarie che utilizzano input organici, provenienti sia da fonti rinnovabili sia da rifiuti industriali, trasformandoli in prodotti ad alto valore aggiunto per uso professionale e per il giardinaggio. I biostimolanti, tipicamente utilizzati in combinazione con i fertilizzanti tradizionali, sono prodotti fondamentali per l’agricoltura moderna, in grado di aumentare la resa e la qualità del raccolto. Inoltre, i biostimolanti ottimizzano l’uso dei prodotti agrochimici e dei fertilizzanti chimici, aumentandone l’efficienza e contribuendo nel contempo a ridurre l’impiego di prodotti per la protezione delle colture aumentando la resistenza delle piante agli stress abiotici (vedi siccità).
Sorge un quesito: come mai gli americani sono così interessati alla nostra chimica, ai nostri gioielli della transizione energetica ed ecologica, mentre non si nota lo stesso interesse da parte di investitori o grandi operatori del nostro Paese? Non c’è da scomodare il Golden Power, che ha tuttavia permesso nell’autunno scorso al governo di bloccare la vendita di Verisem, azienda leader nella produzione di sementi, a un noto gruppo cinese. Però è quanto meno bizzarro assistere alla cessione di know-how, di competenze e di una cultura chimico-industriale a fondi o grandi gruppi internazionali.
Ahinoi, la nostra pubblica amministrazione fatica a dialogare con imprese che potrebbero essere fondamentali, ad esempio, nella lotta agli sprechi idrici. Le aziende che hanno cambiato bandiera non sono nate ieri, così come i problemi ambientali italiani non sono spuntati questa estate. Se lo Stato, inteso come comunità che gestisce la cosa pubblica, avesse coinvolto di più le centinaia-migliaia di aziende italiane leader nel proprio settore, forse quelle stesse imprese non sarebbero diventate straniere, ma magari avrebbero comprato loro stesse un’azienda fuori confine.