La Federal Reserve aveva tenuto i tassi a zero anche quando l’economia americana iniziava a crescere del 5-6 per cento. Per il governatore Jerome Powell non c’erano rischi inflattivi, poiché l’aumento dei prezzi era considerato “temporaneo” o “transitorio”. Un ritornello ripetuto anche al di qua dell’Atlantico. Solo che con il denaro “gratis” è aumentata ancora di più la domanda, strozzando le catene di approvvigionamento e infiammando le quotazioni delle materie prime, petrolio e gas in testa. La guerra in Ucraina, ciliegina sul torta, ha svelato che il re era nudo, che l’inflazione non era temporanea e che per raffreddare i prezzi bisognava aumentare i tassi. Così, nonostante le promesse (Lagarde: nessun aumento tassi per il 2022), le banche centrali hanno iniziato una stretta a tutta velocità, in pochi mesi, stravolgendo completamente le prospettive di aziende, consumatori e Stati, zeppi di debiti quindi alle prese con interessi sempre più alti.
L’inflazione ad agosto tuttavia appare ancora troppo alta per i gusti di Powell e Lagarde su tutti. Per cui la prospettiva è di incrementare il costo del denaro ancora di più, con la consapevolezza che ormai solo una recessione, dunque un calo della domanda, potrà portare a un raffreddamento dei prezzi.
La scorsa settimana, mentre alzava i tassi di un altro 0,75%, Powell ammetteva: “Abbiamo sempre saputo che ripristinare la stabilità dei prezzi, ottenendo nel contempo un aumento relativamente modesto della disoccupazione e un atterraggio morbido, sarebbe stato molto impegnativo. Nessuno sa se questo processo porterà a una recessione o, in caso affermativo, quanto sarebbe significativa tale recessione“. Ma occorre comunque riportare l’inflazione sotto controllo “perché il fallimento nel ripristinare la stabilità dei prezzi significherebbe un dolore molto più forte in seguito“.
Lato Europa. Secondo Philip Lane – capo economista della Bce e membro del comitato esecutivo, in un’intervista alla tv irlandese Rte – la Bce dovrà varare “diversi” rialzi di tassi d’interesse fra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo, quando per l’economia dell’area euro sarà attesa una crescita piatta. Inoltre non si esclude una recessione “mite“.
“Il mercato è più preoccupato per la Fed e le altre banche centrali che spingono l’economia in recessione“, spiegava la scorsa settimana Karl Haeling di Lbbw Bank. Anche perchè il vangelo di Powell ormai è divulgato da chiunque, senza contraddittori. Mathias Cormann, segretario generale dell’Ocse, ha sostenuto che le principali banche centrali del mondo devono proseguire nel loro percorso di politiche monetarie aggressive per far fronte all’impennata dell’inflazione: “È necessaria una politica monetaria più restrittiva per ripristinare la fiducia delle famiglie e delle imprese“.
Ma è giusta questa teoria, questa marcia verso una recessione decisa da autorevoli dirigenti mondiali che per mesi hanno continuato a dire che il rialzo dei prezzi era temporaneo? La stretta della Fed sta imprimendo una rialzo inarrestabile al dollaro, che torna bene rifugio in una fase pessimista visti i problemi energetici soprattutto europei e la minaccia di guerra nucleare in Ucraina. Il super biglietto verde sta abbattendo record su record: sterlina ormai sulla parità, come negli anni ’70, euro sotto la parità, come 20 anni fa, yen e yuan ai minimi da fine anni ’90. Le banche centrali di Tokyo e Pechino non seguono le sorelle occidentali e mantengono i tassi bassi. Di conseguenza le loro monete si svalutano, buona notizia per due Paesi trasformatori ed esportatori. Solo che se l’impoverimento è troppo accentuato, il rischio è che gli investimenti esteri in Giappone o in Cina lascino i rispettivi Paesi per spostarsi negli Usa, che col super dollaro può invece garantirsi importazioni più economiche, un aiutino contro l’inflazione e un potere d’acquisto superiore. Ecco perchè la Cina ha aumentato la richiesta di riserve obbligatorie delle banche, per sostenere un minimo lo yuan, mentre il governo nipponico ha addirittura comprato yen sul mercato.
La Fed fa il suo mestiere perché pensa agli americani, o almeno ci prova, sono le banche centrali soprattutto europee, Bce o Boe, che forse sbagliano a seguire la Fed. A parte il pericolo di una fuga di capitali e di aziende, c’è il grosso rischio di una stagflazione potente. In questo senso Steve Forbes, presidente di Forbes Media, lancia un Sos parlando con la Cnbc: “Oggi, sfortunatamente, non solo l’amministrazione Biden sta ponendo ostacoli per affrontare i problemi dal lato dell’offerta, ma anche la Federal Reserve e altre banche centrali pensano che sia necessario deprimere l’economia per far scendere l’inflazione”, ha affermato contestando l’idea che una recessione è l’unica soluzione per combattere l’inflazione. “Lo fanno alzando artificialmente i tassi di interesse. Quindi hanno meno persone impiegate… questa non è la vera cura. La vera cura – spiega Forbes – è stabilizzare la valuta. Non devi rendere le persone povere per vincere l’inflazione”. Anche perché, “con monete instabili, si ottengono investimenti a lungo termine meno produttivi, il che è decisivo per la crescita economica”.